Valentino Cassanelli rilegge i 10 anni di Lux Lucis: intelligenza, memoria e un pizzico di audacia

L’understatement è indubbiamente una virtù, ma rischia di non farti brillare quanto meriti. È quel che mi sono ritrovata a pensare alzandomi da tavola per andare a salutare Valentino Cassanelli, il cuoco stellato del Lux Lucis nell’hotel Principe di Forte dei Marmi. Cassanelli, classe 1984, una cascata di riccioli che già vogliono volgere al cenere, è un fuoriclasse. Ma di lui si parla troppo poco. Riservato, sobrio, una pacatezza che trova un contraltare incendiario in certi suoi piatti, il cuoco emiliano (di Spilamberto nel modenese) non sarà mai un accumulatore seriale di follower su Instagram o Tik-Tok. Non è nella sua natura.

È nella sua natura, invece, un’esemplare maestria ai fornelli, il talento di proporre piatti molto costruiti ma intellegibili al palato di chiunque. Per quanto mi riguarda il talento più grande per un cuoco.

Come impone la narrazione di ogni grande chef anche lui ha attinto all’esperienza familiare (chissà che sfoglie sottilissime riusciva a comporre la nonna con qualche colpo di matterello) per poi formarsi all’estero. Nel suo caso a Londra, alla Locanda Locatelli e poi da Nobu. Ma è stato con Carlo Cracco l’incontro decisivo. Cracco dopo averne fatto il proprio junior sous chef lo ha indicato alla proprietà del Principe per la responsabilità del food&beverage. Lux Lucis apre nel 2012 e cinque anni dopo ottiene la stella. Il locale da 28 coperti è sulla terrazza dell’albergo, da cui si domina la baia e dove l’aperitivo è incoronato da spettacolari tramonti marini.

Cassanelli festeggia ora il decennale con un menù antologico, “10 anni di Lux Lucis – I’m on the road again”, dove rilegge un piatto per ogni stagione. Dei classici, graditi e tuttora richiesti dagli ospiti, spesso attualizzati con gli occhi di oggi. 

Non accade con Pomo mary, che risale all’anno di apertura, rimasto immutato nel suo perfetto gioco di rimandi. Un piccolo pomodorino datterino maturo, marinato in vodka, tabasco, salsa worchester e timo. Bloody Mary alternativo, inizio fiammeggiante per il menù dei ricordi. Seguito dallo Scampo crudo gratinato, con maionese di crostacei, erbette mediterranee e pomodorino, un boccone di mare, anche se in questo scorcio di Versilia non è proprio il mare il punto di richiamo più forte (almeno per chi considera mare solo quello che sfiora gli scogli, disclaimer…).

Irresistibile e goloso il burro all’acciuga e ciliegia da gustare sulla focaccina di farina di farro che richiama i pani della Garfagnana. E poi è un susseguirsi di piatti della memoria riletti con intelligenza e attualità, come nel caso del Cacciucco: nel 2012 si celava all’interno di un raviolo e oggi si sublima in una salsa ristretta che accompagna il crudo di gambero viola di Santa Margherita. Menzione speciale al Morone, pesce di fondale protagonista del “Profondo” Pesce nero alla brace mediterranea 2016, marinato per 24 ore in miso di ceci e sambuca. Sulla fiducia, perché io non lo mangio, va citato il “Viaggio sulla vetta” Piccione, abete, mango acerbo e bazzone, anno 2019, da molti considerato il piatto must del menù.

La proposta di Cassanelli si arricchisce – e non poco – del contributo di un pairing ineccepibile messo a punto dal maitre sommelier Sokol Ndrek, già nominato Miglior Sommelier d’Italia nel 2015. La collaborazione tra i due è costante e l’idea di nuovi piatti spesso prende spunto dalle caratteristiche di qualche vino particolare. Così come dall’utilizzo di un ingrediente locale. Un esempio è la carota Pastinoncello di Seravezza di cui era stata praticamente abbandonata la coltivazione e della quale era conservato solo un campione di studio per l’Università di Pisa. Dopo averla assaggiata e averne sentito la storia, Valentino l’ha utilizzata nella sua cucina salvandola dall’oblio.