L’avvio in sordina, otto anni fa, aveva suscitato curiosità ma anche qualche ironia. L’ennesima lista dei migliori cuochi al mondo? Che bisogno ce n’è? Abbiamo già la Michelin e i 50Best che sono quelle che contano (dimenticando che anche quando debuttò la 50Best nessuno immaginava quanto la classifica sarebbe diventata cruciale per la scena gastronomica mondiale).
E così, anno dopo anno, anche The Best Chef Awards è cresciuta. L’altra sera a Dubai la presentazione della lista dei migliori secondo la classifica ideata da Cristian Gadau e Joanna Slusarczyk aveva un parterre imponente. Chef, foodies, esperti dei media, organizzatori di eventi e tanti, tantissimi cuochi provenienti dai cinque continenti.
Questa edizione vedeva anche una novità, l’introduzione di un sistema di classificazione – non del tutto innovativo, bisogna ammetterlo – a uno, due, tre coltelli, a certificare il grado di eccellenza dello chef. Perché qui si premiano gli chef, non i ristoranti. Anche se giustamente tutti quelli saliti sul palco hanno voluto condividere il riconoscimento con i collaboratori. L’affermazione sta rischiando di divenire una litania – “la sala è importante quanto la cucina” – ma non per questo è meno vera: chissà se qualcuno avrà mai il coraggio di inventare una classifica solo riservata ai maître o ai sommelier?
I The Best Chef Awards gettano uno sguardo largo sulla gastronomia internazionale: sono ben 550 i cuochi citati. Un punto di vista interessante per la diversificazione: accanto a cuochi super blasonati trovano spazio giovani leve (alcuni per me vere novità) e soprattutto in arrivo da tutto il mondo. Uno dei dodici premi speciali, quello per la Best dining experience, è andato ad esempio al cuoco neozelandese Vaughan Mabee, patron di Amisfiled, ristorante immerso nella natura e super stagionale che lavora a strettissimo contatto con pescatori, cacciatori, raccoglitori e agricoltori dell’area nel distretto del Central Otago. Mabee non è certo uno sconosciuto, si è fatto le ossa al Noma e il suo locale è nella lista 50Best Discovery, ma non è ancora un nome noto al grande pubblico, anche se quasi certamente lo diventerà.
Qualche numero sulla classifica. Nonostante ora si parli di coltelli un podio esiste ancora e al primo posto si trova Rasmus Munk del pirotecnico, caleidoscopico Alchemist a Copenhagen. Al secondo il consolidatissimo Albert Adrià che sta finalmente prendendosi la scena, dopo decenni all’ombra del celebre fratello (anche se nessuno ha mai dubitato del suo talento). Terzo posto infine per Eric Vildgaard di Jordnær. Siamo ancora in Danimarca, con un cuoco di grande sapienza nell’esaltazione di ingredienti locali e sostenibili.
Orgoglio italiano per la menzione speciale a Michele Lazzarini di Contrada Bricconi (The Best NextGen Award).
276 cuochi sono stati segnalati con 1 coltello, 177 con 2 coltelli e ben 97 con 3. Sono 43 i cuochi italiani indicati, sei dei quali con i tre coltelli: Enrico Crippa, Massimo Bottura, Mauro Uliassi, Riccardo Camanini, Michelangelo Mammoliti e Floriano Pellegrino.
La cerimonia di premiazione è avvenuta a Dubai, che sempre di più emerge come hub gastronomico. Ormai andare negli Emirati attirati dalla tavola non è più eresia. Sono moltissimi i ristoranti con un’offerta fine dining di livello, che portano negli Emirati tradizioni culinarie anche lontane e le rileggono con tecnica e sguardo contemporaneo, come è il caso del Trèsind Studio di Himanshu Saini con la cucina indiana. Un’immersione negli odori, colori e sapori dell’India, reinterpretati con devozione e originalità.
E quasi ogni mese, se non più spesso, in città si accoglie l’apertura del nuovo locale di un grande chef internazionale. Ahmed Al Khaja, rappresentante del Dubai Department of Economy and Tourism che ha ospitato la serata di premiazione all’Atlantis The Palm, lo ha detto chiaramente: Dubai vuole affermare il suo status di “capitale mondiale della gastronomia”. Gli altri Paesi del Golfo si prendono gli sport, Dubai scommette – tra le altre cose – sulla tavola.
Qui tutti gli elenchi del Best Chef Awards.