Ancora ventiquattro ore e sapremo qual è il miglior ristorante al mondo. Almeno secondo il migliaio di votanti dei 50Best che da quando esiste la classifica – 15 anni – ha decretato le fortune dei protagonisti del fine dining internazionale. Non senza critiche, è vero. C’è chi ha storto il naso sulla supposta inevitabile ‘parzialità’ di alcune scelte, determinate dalla maggior potenza di fuoco in termini di attrazione di critici e foodies da parte di qualche ristorante rispetto ad altri. Ma ai 50Best, nati come poco più di un gioco di un magazine britannico e finiti per essere king maker dell’alta cucina mondiale, va dato atto di aver svecchiato il mondo della critica e spinto anche la Michelin ad esplorare nuove strade.
Chi sarà il primo domani? Ad Anversa, dove stanno convergendo chef, giornalisti ed esperti per la premiazione, molti hanno sulle labbra Noma. Redpezi, pur essendo già stato ai vertici e rientrando quindi nei Best of the Best, ovvero i sette super chef premiati o pluripremiati nel passato, tecnicamente è “eligible” in quanto concorre con il nuovo locale. Si vedrà. Speriamo che Crippa e Alajmo mantengano o migliorino le proprie posizioni. Di sicuro nei 50 entra un’altra insegna italiana.
Stamattina avvio soft in una conferenza dove si è reso merito alla città ospite. Anversa non è solo la città dei diamanti. Ha sempre più aspirazioni come destinazione gastronomica. Tanto da aver avviato il progetto di un Flemish Culinary Center. Ristoranti stellati non mancano ma è soprattutto la scena etnica a destare interesse. Dalla cucina cinese a quella vietnamita, chassidica e africana, passando per la chicca della cucina Jainista. Un ristorante indiano propone piatti rispettosi della restrittiva alimentazione vegana dettata da una religione che fa della non violenza verso ogni essere del creato – comprese carote e patate – il proprio cardine.
Mauro Colagreco, past Best of the world dopo l’incoronazione a Singapore nel 2019, ha spiegato cosa hanno significato questi due anni di arresto. “Dobbiamo ripensare tutto” ha constatato. Il giorno precedente era stato Daniel Humm, patron di un altro Best of the Best, Eleven Madison Park a New York, a riflettere sul futuro. Reduce da una feroce stroncatura del New York Times alla sua svolta vegetariana, ha ribadito con forza la propria scelta, considerata “inevitabile”. “Non sono contro la carne – ha dichiarato – sono per il pianeta”, sottolineando che anche la politica degli approvvigionamenti presso le ‘local farms’ non basta più. Scelte radicali, dunque, e a suo parere anche la necessità di alzare i prezzi dei ristoranti, fino al 40% in più. Unico modo per consentire ritmi più umani alle brigate.
Come sarà il futuro dell’alta cucina mondiale? È vero come dice Humm che per essere sostenibili non basterà un’alleanza virtuosa con i produttori locali? Dovremo rinunciare definitivamente alla carne?
Ad ascoltare Adelaide Lala Tam, food designer invitata a parlare a Food Meets Talent by San Pellegrino, verrebbe da pensare di sì. La giovane designer ha portato a termine un progetto di ‘sensibilizzazione’ sul tema davvero speciale. Ha acquistato una vitella, l’ha cresciuta, ha messo online tutti i dati relativi al suo allevamento, ha persino creato un albero genealogico della mucca Romie e l’ha accompagnata al suo destino. Registrando online ogni singolo passo, compresi i formaggi prodotti con il suo latte. E, ahimè, i tagli finiti sul bancone del macellaio. Impossibile rimanere impassibili.