Con quasi 98 mila ettari, il vigneto siciliano è il più grande d’Italia, in Europa ha la stessa estensione di quello tedesco e tre volte tanto il vigneto della Nuova Zelanda. E la Sicilia è la prima regione in Italia per superficie vitata in biologico. Sono lontani i tempi in cui i produttori siciliani non avevano consapevolezza del valore dei loro vitigni e si accostumavano a rinforzare con le loro uve i più deboli vini del nord (Italia ed Europa).
L’orgoglio dei vini autoctoni è nato decenni fa grazie alle intuizioni di alcuni protagonisti della vite e del vino di Sicilia, tre grandi produttori in particolare, Giacomo Rallo, Diego Planeta, Lucio Tasca d’Almerita. A loro si deve l’avvio di un percorso che ha elevato l’immagine del vino siciliano nel mondo e che oggi è portato avanti con efficacia dal Consorzio Sicilia Doc. La Doc Sicilia è nata nel 2011 e l’anno successivo È stato creato il consorzio. Oggi Copre 23,521 ettari, con 7.863 viticultori e 95,8 milioni di bottiglie prodotte nel 2021 (+6%). Erga Omnes dal 2014, il consorzio ha il compito di tutelare e diffondere il vino siciliano, con un accento particolare, negli ultimi anni, ai temi della sostenibilità.
Ma non basta. È sempre più necessario anche l’aspetto dell’identità e la tutela del consumatore. A questo proposito è nato un progetto per custodire il “Vigneto Sicilia” e produrre viti siciliane dotate di una certificazione che ne attesti l’integrità sanitaria e varietale. “Dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani”: sono questi gli obiettivi del progetto “Valorizzazione del germoplasma viticolo” promosso e sostenuto dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia in collaborazione con il Dipartimento regionale dell’Agricoltura della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e il Centro regionale per la conservazione della biodiversità viticola ed agraria “F. Paulsen”.
Il progetto ha lo scopo di conservare la biodiversità generata dai 3.000 anni di viticoltura nell’isola e le sue varietà autoctone e di intervenire a monte della filiera vitivinicola, dotando i vivaisti di materiale di base da cui ottenere un prodotto certificato da vendere alle aziende. “Lavorando con viti di cui è certa l’identità varietale e l’integrità sanitaria – spiega il consorzio – è possibile dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani. Grazie al progetto è in corso la verifica fitopatologica dei campi di piante iniziali esistenti e la ricostituzione di nuovi campi con materiali virus esenti, da cui ottenere il materiale di propagazione per la produzione di barbatelle innestate e certificate”.
“Da sempre la missione del consorzio è rafforzare l’identità dei vini siciliani, migliorandone la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato. – sottolinea il presidente Antonio Rallo – il progetto a sostegno del “Vigneto Sicilia” diventa quindi per noi centrale per lo sviluppo dell’enologia siciliana e siamo orgogliosi di poterlo sostenere a fianco delle altre istituzioni coinvolte, che ringrazio per la collaborazione e supporto. Ogni giorno lavoriamo per comunicare al meglio il sistema ‘Sicilia Doc’ come produttore di eccellenza dei vini contemporanei, a fianco dei nostri produttori e delle nostre aziende così che possano essere sempre più competitive sui mercati di riferimento”.
Intanto si assiste a un nuovo momento d’oro del Nero d’Avola, il primo vitigno autoctono riuscito ad ottenere grande visibilità per il vigneto Sicilia, in Italia e all’estero. “Con circa 50 milioni di bottiglie l’anno nel 2020 e poi nel 2021, il Nero d’Avola è un prodotto considerato oggi di assoluta eccellenza – ricorda Rallo -. Vitigno dal carattere impetuoso e attraente, si lascia addomesticare dal passaggio del tempo: è un nettare propenso all’invecchiamento, ma virtuoso e pregiato già in gioventù”.
E vince anche la scommessa dell’abbinamento con la cucina vegetariana, come – raccogliendo la sfida – ha dimostrato Carlo Cracco in una cena veg tutta “innaffiata” dal nero siciliano per eccellenza.