Del Cambio, a Torino in tavola territorio e tradizione

Se Torino è la città “più francese” d’Italia, certamente il suo ristorante più storico, Del Cambio, rappresenta l’espressione migliore di questo dialogo tra culture affini. È la prima metà dell’800 quando Del Cambio si trasforma da semplice caffè a ristorante, punto d’incontro elegante ed epicentro della vita pubblica, politica e culturale della città.

Da allora ha continuato ad essere un simbolo. Era il ristorante amato da Cavour, che aveva il suo tavolo speciale. Chiunque entri nello storico edificio viene catturato dall’atmosfera del luogo: storia, identità, garbo sabaudo. La lunga ed elaborata ristrutturazione realizzata dall’attuale proprietà è stata di fatto un atto di mecenatismo verso Torino.

 

La cucina guidata negli anni da Matteo Baronetto ha riportato il ristorante al livello di altissima qualità che gli compete tentando di far convivere la tradizione gastronomica piemontese con qualche incursione nella sperimentazione tipica del fine dining internazionale.

Il nuovo capitolo che si è aperto con l’avvicendamento alla guida della cucina da parte di Diego Giglio, affiancato dal sous chef Francesco Rovai rientra forse più nell’alveo della tradizione, condotta con mano sicura, solidità tecnica, gusto e rigore nella scelta delle materie prime. Il risultato è un’offerta gastronomica convincente, che parla a un pubblico più largo e di sicuro sarà accolta con favore dagli storici clienti torinesi.

Il legame con il passato sembra più evidente. Ed esplicito: “la sua cucina e il suo servizio traggono linfa da una memoria condivisa, fatta di antichi testi e ricette del passato, riletti con sensibilità contemporanea”.

Una cucina dunque impegnata a valorizzare territorio e tradizione e un menù che celebra le radici della cucina regionale. A partire dal Gran Antipasto Piemontese: i Gofri del Piemonte, il Patè di vitello in gelatina, le Acciughe al verde e il Vitello tonnato. 

Si ispirano al libro Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi i particolari di alcuni piatti del menù come l’Ostrica gratinata con pane alle erbe e scorza di limone, servita nel suo guscio con un fondo di pollo e la deliziosa Lingua alla Persillade, accompagnata da una salsa verde e un concassé di lardo in carpione. Trae ispirazione dallo storico volume anche il Piccione alla Marengo (la ricetta originale era “Piccioni con intingolo di gambari”) dove  la salsa è l’incontro intrigante di un fondo di piccione e una bisque di crostacei.

Da non perdere la visita alla cantina, che conta oltre 4.000 etichette e più di 16.000 bottiglie, anche qui strizzando l’occhio ai vicini d’Oltralpe con un’ampia proposta di Borgogna e Champagne.

Si torna la mattina dopo a far colazione alla Farmacia Del Cambio con le dolci proposte di Giorgia Mazzuferi. 

 

 

 

 

 

 

 

Se Torino è la città “più francese” d’Italia, certamente il suo ristorante più storico, Del Cambio, rappresenta l’espressione migliore di questo dialogo tra culture affini. È la prima metà dell’800 quando Del Cambio si trasforma da semplice caffè a ristorante, punto d’incontro elegante ed epicentro della vita pubblica, politica e culturale della città.

Chiunque entri nello storico edificio viene catturato dall’atmosfera del luogo: storia, identità, garbo sabaudo. La lunga ed elaborata ristrutturazione realizzata dall’attuale proprietà è stata di fatto un atto di mecenatismo verso Torino.

La cucina guidata negli anni da Matteo Baronetto ha riportato il ristorante al livello di altissima qualità che gli compete tentando di far convivere la tradizione gastronomica piemontese con qualche incursione nella sperimentazione tipica del fine dining internazionale.

Il nuovo capitolo che si è aperto con l’avvicendamento alla guida della cucina da parte di Diego Giglio, affiancato dal sous chef Francesco Rovai rientra forse più nell’alveo della tradizione, condotta con mano sicura, solidità tecnica, gusto e rigore nella scelta delle materie prime. Il risultato è un’offerta gastronomica convincente, che parla a un pubblico più largo e di sicuro sarà accolta con favore dagli storici clienti torinesi.

Il legame con il passato sembra più evidente. Ed esplicito: “la sua cucina e il suo servizio traggono linfa da una memoria condivisa, fatta di antichi testi e ricette del passato, riletti con sensibilità contemporanea”.

Una cucina dunque impegnata a valorizzare territorio e tradizione e un menù che celebra le radici della cucina regionale. A partire dal Gran Antipasto Piemontese: i Gofri del Piemonte, il Patè di vitello in gelatina, le Acciughe al verde e il Vitello tonnato. 

Si ispirano al libro Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi i particolari di alcuni piatti del menù come l’Ostrica gratinata con pane alle erbe e scorza di limone, servita nel suo guscio con un fondo di pollo e la deliziosa Lingua alla Persillade, accompagnata da una salsa verde e un concassé di lardo in carpione. Trae ispirazione dallo storico volume anche il Piccione alla Marengo (la ricetta originale era “Piccioni con intingolo di gambari”) dove  la salsa è l’incontro intrigante di un fondo di piccione e una bisque di crostacei.

Da non perdere la visita alla cantina, che conta oltre 4.000 etichette e più di 16.000 bottiglie, anche qui strizzando l’occhio ai vicini d’Oltralpe con un’ampia proposta di Borgogna e Champagne.

Si torna la mattina dopo a far colazione alla Farmacia Del Cambio con le dolci proposte di Giorgia Mazzuferi.