Addio a Gualtiero Marchesi. Se ne è andato, a 87 anni, colui a cui indubitabilmente si deve la rivoluzione della cucina italiana. Tra i fornelli e in sala. Non più vassoi di portata. Piatti pensati come quadri. Ingredienti speciali. Il primo in Italia a ottenere le tre stelle Michelin.
Negli anni Ottanta il suo locale, in Bonvesin della Riva era “la” destinazione per tutti i gourmet. Personalmente ricordo come fosse ora l’emozione mentre scendevo per la prima volta quelle scale, insieme a mio padre, inguaribile appassionato di cibo.
Dalle sue cucine sono passati tutti o quasi quelli destinati a diventare grandi. E Marchesi con civetteria si vantava di non essere quasi mai lui ai fornelli a spignattare (una risposta anticipata e indiretta a quanti oggi s’indignano perché gli chef spesso non cucinano: ciò che importa è che il piatto – immaginato, creato e perfezionato dal grande cuoco – sia poi sempre perfetto nell’esecuzione a prescindere dal fatto che lui sia o meno presente).
Marchesi non era uno che le mandava a dire. A parte qualche discepolo molto amato, di solito non incensava i colleghi. Capitava che li criticasse. Sempre generosi invece – qualche volta anche birichini e maliziosi – i commenti per una bella donna appena incrociata.
Gli piaceva l’arte e adorava la musica. Non gli piaceva l’overdose di cucina in tv. A un certo punto aveva pensato che fosse giusto coprire con il copyright le ricette.
È stato un grande maestro. Nessuno potrà mai negarlo. Ma non è riuscito a diventare il Paul Bocuse d’Italia, il patriarca riconosciuto e adulato da tutti come è accaduto al suo celebre collega francese. Un gran peccato.
Domani si sprecheranno articoli e pagine di giornale, commenti, ricordi di veri e fasi amici, fotogallery con i suoi piatti più famosi, a partire dal risotto con foglia d’oro. C’è da augurarsi che – comunque la si pensi – il ricordo di Marchesi non si fermi lì. Perché tanti gli devono tanto.