Ein Prosit, fine dining o bistrot? La domanda che a Udine non ha senso

È ormai ufficialmente la migliore manifestazione gastronomica del pianeta. Parole grosse? Sì certo. Ma se c’è qualcosa che si può fare con Ein Prosit e i suoi tre artefici, Claudio Tognoni, Paolo Vizzari e Manuela Fissore, è scherzare. Perché loro sono i primi a non prendersi sul serio. Salvo poi – iper-professionali – essere in grado di portare a Udine (abbiamo detto Udine, non Parigi o Madrid o qualche nuova capitale del fine dining mondiale) più di cento cuochi dai quattro angoli del mondo, organizzare 150 diversi appuntamenti tra cene, laboratori, degustazioni, percorsi didattici, food truck e avere la forza di tirare mattina tra chiacchiere e brindisi. Ecco perché Ein Prosit – dal 16 al 19 ottobre la XXVI edizione – è unica ed eccezionale. Perché è eclettica, golosa, divertita, spiazzante, rock ‘n roll. Tutto il contrario di un congresso paludato pieno di talk e di slides.

Con questo non si vogliono denigrare i congressi, hanno il loro valore e possono essere anche molto interessanti. Solo che a volte per cuochi con storie, tradizioni, ambizioni e culture spesso agli antipodi è altrettanto efficace un confronto in un contesto più rilassato. Non a caso la manifestazione friulana è l’unica ad avere più richieste di adesioni che reali disponibilità: i cuochi che ci vanno si divertono, sanno che troveranno amici e sono pronti a mettersi in gioco per accoppiamenti gastronomici inediti, a volte persino azzardati.

Il rischio – va detto – è che la manifestazione viva in una grande bolla autoreferenziale, un microcosmo di cuochi, giornalisti, gourmet itineranti che si conoscono bene e si ritrovano immancabilmente a tavola o davanti a un drink come si deve. Proprio per evitare questo rischio ed “allargarsi” a una città che si è dimostrata negli anni tanto ospitale in questa edizione si moltiplicano le attività “aperte”. In città saranno operativi a orario quasi continuo diversi food truck dove si alterneranno i grandi cuochi presenti per la cene, che sono da sempre il fulcro degli eventi.

“Fuori i cuochi dalle cucine, questa è la grande novità strutturale quest’anno – spiega Paolo Vizzari -. Mentre il programma serale è rimasto più o meno quello delle scorse edizioni, anche se cambiano i temi e gli abbinamenti, abbiamo aggiunto tantissimo altro. Creando veri e propri palinsesti”. Sabato sarà un girotondo continuo, dalle undici del mattino fino alle otto di sera: per nove ore ogni sessanta minuti si alterneranno gli chef (alcuni proporranno piatti in coppia). “Passi alle undici di sabato e trovi i bomboloni di Andrea Tortora – suggerisce Vizzari – a mezzogiorno ci sono Francesco Brutto con Masahiro Homma che fanno gli onigiri, ripassi all’una e trovi i sandwich di Johannes e Johanna Richter, sudafricani super interessanti, alle due ci si sposta in Venezuela, con Juan Luis Martinez e Santiago Fernandez e i loro Tequeños y Cachapase (stuzzichini al formaggio e frittelle di mais tipici, ndr) e così via per concludere con i Biryani di Miglio e Pollo indiani di Johnson Ebenezer”. E per chi teme l’esotismo c’è il rassicurante food truck tutto dedicato alla pasta. 

Le cene come sempre sono intriganti. Quest’anno scende in campo persino le roi Alain Ducasse, con i suoi principali executive chef. E qui emerge il tema – non dichiarato – di questa edizione: il ripudio, come dice Vizzari, di qualsiasi contrapposizione tra il fine dining e la cucina più casual o quella che potremmo chiamare bistronomia all’italiana. Non a caso l’alfiere della neo-trattoria di successo, Diego Rossi, sarà ai fornelli proprio con Emmanuel Pilon del Le Louis XV, 3 Stelle Michelin, nella cena intitolata Una Trippa in Abito da Sera.

Ma quale strana alchimia viene messa in atto pre creare gli accoppiamenti perfetti tra gli chef (spesso più di due per una cena)? “Io e Paolo ci siamo dati una regola, non invitare mai chef da cui non siamo stati – spiega Manuela Fissore – questo ci facilita il lavoro perché li conosciamo bene e sappiamo individuare i vari accenti della loro cucina. Riusciamo a vedere nel fine dining l’aspetto più assimilabile al bistrot e viceversa.  A volte poi le collaborazioni nascono delle amicizie personali tra gli chef. Nel programma cerchiamo di assecondarle: si stimano a vicenda, quindi anche se fanno cucine diverse riescono a trovare un comune denominatore”.

Poi ovviamente esistono anche altri criteri. La cena Su e Giù dall’Equatore vedrà insieme due donne, la brasiliana Manu Buffara e Tam Chudaree Debhakam di Bangkok, entrambe di forte personalità e accomunate dall’amore per i sapori piccanti. A volte il legame sembra più labile, ma solo apparentemente, come nel caso di Norbert Niederkofler e Johannes Richter. “Loro arrivano da realtà diverse – commenta Fissore – anche se entrambi a sud di qualcosa, Sudtirolo e Sudafrica. Ma a parte questo entrambi sono votati a una cucina realmente locale: Norbert non usa agrumi o olio d’oliva e Johannes fa la stessa cosa  in Sudafrica utilizzando solo gli ingredienti del luogo”.

Che dire di Claudio Tognoni? Alla fine tutto si deve alla sua lungimirante e testarda perseveranza. Chi c’era alle prime timide edizioni di Ein Prosit, tra Tarvisio e Malborghetto, non poteva immaginare quel che sarebbe venuto. Lui forse sì.

Qui il programma completo.