A Marano, campagna vicentina, un giovanissimo chef da tenere d’occhio

Tra chi era seduto a tavola con me sabato a pranzo a Cogo Nel mezzo della campagna vicentina, patria del mais marano dalle belle pannocchie arancioni, è tornato da qualche mese un ragazzo di 25 anni che sicuramente farà parlare di sè. Non a caso la guida di Identità Golose, presentata oggi a Milano, lo premia come sorpresa dell'anno. Lorenzo Cogo, sguardo sveglio e aria sicura è figlio d'arte, cresciuto in una trattoria a conduzione familiare. Ha cominciato a girare per le cucine venete a 13 anni e, giovanissimo, è volato a Melbourne al Vue du Monde. Una scelta ragionata: volevo uscire dagli schemi, dice, non seguire la solita trafila della formazione influenzata dalla cucina francese.

E infatti nei suoi piatti, innovativi ma mai gratuitamente provocatori, si catturano varie contaminazioni. C'è la precisione e la nettezza della cucina giapponese (di cui Cogo ha appreso le tecniche da Seji Yamamoto), lo spirito ardito appreso da Tetsuya, la creatività esasperata di Blumenthal e il rispetto totale della materia prima assorbito da Noma, a fianco di René Redzepi, acclamato da molti come il nuovo guru della ristorazione internazionale. Anche se la persona a cui deve di più è Victor Arguinzoniz, il basco proprietario della griglia più famosa al mondo, Etxebarri.

Da ricordare: l'Acquario, una granita di dashi, cozze e fumo ingentilita dal kumquat; una fonduta servita in una pipetta di vetro da accompagnare a polenta fritta e porcini, un capriolo inaspettato  e lo straordinario burro fatto in casa. Ovunque sapori netti e grande tecnica.

Il locale, aperto a maggio, è fresco e giovane come la squadra che circonda lo chef. Ha un nome strano, el Coq: le coq era il soprannome del padre trattore, l'articolo dal francese è stato reso più assonante al dialetto veneto. Chi più di me è titolato a giudicare nel merito la cucina di Cogo è stato piacevolmente sorpreso. Lorenzo è giovane ma sa il fatto suo. C'è solo da sperare che non finisca frullato nel circo mediatico che oggi circonda il mondo della ristorazione.

La scelta di aprire il ristorante nel paese in cui è nato è un buon segnale. Del resto restare aggrappati alle radici porta bene: Massimiliano Alajmo ha conquistato tre stelle Michelin con un locale affacciato su una provinciale nella sperduta Rubano.