La qualità è condizione necessaria ma non più sufficiente per la ristorazione italiana. In un momento di inquietudini, mentre si sgretolano le certezze di un futuro destinato inequivocabilmente alla crescita, tutto viene rimesso in discussione. Anche la tavola. C’è meno disponibilità alla sperimentazione (figlia di ottimismo e sfrontatezza) più bisogno di rassicurazioni e comfort food. Finito il tempo delle provocazioni, delle incursioni intellettuali nel piatto? I giovani chef da che parte devono guardare per trovare suggestioni e indirizzi? Anche di questo si è discusso stamattina alla consueta conferenza stampa-happening della Festa a Vico, la grande festa degli chef ideata da Gennaro Esposito che è riuscito in un miracolo: far crescere in maniera esponenziale la manifestazione (stasera sulla terrazza delle Axidie a bordo mare cucineranno fianco a fianco 93 chef), incrementare per numero e prestigio gli sponsor sostenitori dell’iniziativa e coinvolgere importanti cuochi stranieri, dal Brasile al Giappone, senza perdere l’atmosfera genuina, scanzonata e divertita delle prime edizioni. Oggi che siamo arrivati alla nona gli chef continuano a venire (a spese loro) per il gusto di esserci, condividere e fare squadra. “La disorganizzazione programmata” della festa, per dirla con Enzo Vizzari, ancora una volta funziona.
Ma quest’ anno i temi di riflessione erano troppi e troppo urgenti per non trovare spazio.
Tanti ristoranti in difficoltà, la ricerca di un modello che possa tenere insieme creatività e cassa, credito in sofferenza (e sono tanti ad essersi esposti con gli
investimenti sostenuti negli ultimi anni). Non ultimo il pensiero dei colleghi emiliani, costretti ad affrontare i disastri del terremoto che in alcuni casi ha spazzato via il locale, come il Rigoletto di Reggiolo di Gianni e Fulvia D’Amato.
Facendo salva la solidarietà – in queste sere sono state raccolte risorse da destinare all’Emilia Romagna – si è ragionato più a largo raggio su come sta cambiando il mestiere del ristoratore. Che, non dimentichiamolo, è anche un imprenditore.
Il professor Bergami ha illustrato i risultati di un’indagine condotta tra 350 tour operator internazionali sulla loro percezione del paese Italia. Abbastanza a sorpresa è emerso che associano il nostro paese più all’enogastronomia che ai beni culturali, confermando la tesi di chi da anni, anche su questo giornale, invita a valorizzare i nostri giacimenti gastronomici. Purché si ponga l’accento su identità e sostenibilità le due parole chiave del futuro che uscirà da questa crisi disgraziata.