D'accordo. Sto scoprendo l'aria fritta. I francesi sono più bravi di noi nel promuovere i loro prodotti. Si muovono come una falange compatta. Sono capaci di odiarsi senza farlo trapelare. Hanno tanti soldi da spendere ma, nel cinema come nel cibo-vino, hanno enti pubblici in grado di spenderli bene.
Perché non impariamo almeno qualcosa?
Frammenti di riflessioni. L'altra sera ero a cena con produttori vinicoli e si ragionava di Expo, del fantomatico padiglione Vino (la ministra De Girolamo prima sembrava aver affidato tutto a Vinitaly, poi ha tentennato, dopo ha ribadito e infine – seguendo la prassi più classica quando non si riesce a decidere – ha insediato un comitato di dieci saggi). Gli stessi vignaioli sono in panne. Come organizzare la propria presenza? Attraverso Unione italiana vini, Federvini oppure Grand cru o ancora Grandi marchi? Intanto il tempo passa.
Un po' di giorni fa la mia collega Paola Bottelli è andata a Vicenza a visitare la nuova sede di Bottega Veneta (acquisita a suo tempo da Pinault). Ha trovato una specie di eden dove si può prendere la cena take-away (di qualità) e addirittura esiste una lavanderia interna gratuita. Welfare in salsa francese.
Più scontato come esempio ma non meno interessante per la capacità di intercettare nuovi linguaggi l'intuizione di Hennessy. Un cognac è la cosa più lontana dal mondo giovanile che riesco a immaginarmi. E che ti inventa Moet Hennessy? Un progetto che coinvolge artisti della Street Art, a cui fa disegnare etichette di un'edizione speciale. Geniale. Per di più le etichette sono belle.
A Milano è stata organizzata una serata nella galleria specializzata in questo tipo di produzione artistica, The Don Gallery. Mentre due barman (anzi barlady) shakeravano cocktail insoliti a base di cognac ci si poteva godere la collezione di Matteo Donini. E un'opera a otto mani ispirata ad Hennessy. Per me tutto praticamente perfetto.