Una volta da loro non ti aspettavi grandi discorsi. Un po’ come i ciclisti. Bastavano i loro piatti (o le loro imprese eroiche sulle due ruote) a parlare. E nessuno chiedeva di più.
Da tempo ormai invece sono dei maître à penser: non ti accontenti che ti parlino di tecniche e ingredienti. Pretendi da loro una visione del mondo, l’interpretazione del presente e del futuro, una chiave di lettura dei fenomeni sociali. Il bello è che – a volte – sono in grado di dartele. È accaduto anche ieri. Nel cuore della Valpolicella, dove Masi (una delle eccellenze enologiche del territorio) officiava la cerimonia annuale di consegna dei premi della propria Fondazione. Cinque i premiati in un mix che ben rappresenta il pensiero fluido in cui oggi navighiamo, più o meno consapevoli. Una rockstar dall’animo gentile (Elisa), un enologo di chiara fama (Giuseppe Martelli, ma perché quest’ostinazione corvina alla capigliatura che nemmeno il Keith Richards dei tempi d’oro…), uno scienziato abbonato ai bestseller editoriali (il fisico Carlo Rovelli), un capo di stato maggiore di straordinaria affabilità (l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi) e un cuoco tristellato (Massimiliano Alajmo).
Ebbene, proprio il riservato cuoco padovano ha stupito la platea con il suo approccio intellettuale, l’anelito all’essenza, lo svelamento di plurimi livelli di lettura al suo impegno tra i fornelli. Al presentatore della serata, abituato ai salotti televisivi, non è restato che sbottare: “adesso i cuochi sono i nuovi filosofi…”. Purtroppo (o per fortuna) spesso è proprio così.