Eravamo vignaioli. Adesso siamo anche straordinari birrai. Quando, nel 2008, Slow Food iniziò a pensare a una guida delle birre artigianali italiane il fenomeno dei microbirrifici era già esploso ma non ancora nella maniera eclatante che si sarebbe vista negli anni immediatamente successivi. Tanto per dare un ordine di grandezza: la prima edizione della guida presentava 127 aziende e 354 birre. La quinta – presentata ieri a Saluzzo nell’ambito della manifestazione brassicola C’è Fermento – segnala 512 aziende e recensisce 2.708 birre. Per individuare le birre di cui parlare i 70 collaboratori della guida hanno girato l’Italia in lungo e in largo e visitato più di 800 birrifici.
Da un punto di vista qualitativo i nostri produttori hanno fatto passi da gigante, passando da un approccio sperimentale e naif a una consapevolezza e sapienza che ci ha fatto guadagnare il rispetto dei paesi a più storica tradizione. Non a caso il Birrificio del Ducato, di Parma, è riuscito ad aprire a Londra un pub – The Italian Job – dove offre i migliori marchi italiani. E ha conquistato una tale credibilità da riuscire a raccogliere sul mercato, tramite crowdfunding, oltre 400mila sterline.
Qualità, sapienza, esperienza non mancano. Quello di cui c’è bisogno oggi è una capacità ancor maggiore di fare rete. Per riuscire ad estrapolare dati attendibili su mercato, occupazione e investimenti ed esercitare le necessarie pressioni su governo e Parlamento affinché vada in porto la normativa sulle birre artigianali. E si possa finalmente intervenire sulle accise, alzatesi in maniera intollerabile negli ultimi tre anni. Su una birra da 66cl gli italiani pagano 46 centesimi di tasse (tra accisa e Iva), gli spagnoli 21,3 e i tedeschi 19,5.
L’edizione 2017 della Guida alle birre d’Italia è in vendita a 16,50 euro ed è di gran lunga la guida più completa al mondo della birra italiana. Detto da una non bevitrice di birra, è una lettura interessante anche per chi non sia un grande appassionato. Si perderà andando alla scoperta dei prodotti più particolari, all’insegna della qualità delle materie prime, del legame con il territorio e della fiera identità. A me, di sicuro, è venuta la curiosità di assaggiare una delle birre di Montegioco, azienda nata nella patria del Timorasso: non la Tibir, per la quale Riccardo Franzosi utilizza proprio le uve riportate in auge da Walter Massa, ma quella in cui confluiscono le preziose e inebrianti fragole profumate di Tortona.