Non serve scomodare “la grande bellezza” per definire l’emozione che ti coglie quando – possibilmente al tramonto – fai ingresso alla sala dell’Imàgo. La grande vetrata del ristorante al sesto piano dell’hotel Hassler, che abbraccia Roma, toglie letteralmente il fiato quando il cielo si infuoca e impurpurea tutta la città.
Dire che a quel punto sei già ben disposto di fronte a quel che troverai nel piatto è pura e semplice verità. Ma Andrea Antonini, trentaduenne di grande esperienza e idee chiarissime, non si accontenta di certo dell’effetto “wow” che gli garantisce il luogo.
I suoi menù sono un omaggio intelligente e intrigante alla cucina della tradizione romana e questo è il primo merito. Sei a Roma, sai che ha passato anni nelle cucine dei migliori al mondo, ma lui ti sorprende mettendoti davanti un piatto di “pasta alla checca”. Alleggerita, divertita, ma pur sempre fedele al gusto e alla memoria che ogni romano – mi dicono – ha dei pranzi estivi in famiglia. La pasta fredda che si portava al mare, fatta con mozzarella di bufala, mezze maniche, pomodorini pendolini, basilico, parmigiano e aglio.
“Il cliente che viene all’Imàgo è internazionale, osserva la bellezza di Roma e vuole mangiare l’Italia – spiega Andrea -. La mia filosofia culinaria è usare solo materie prime italiane, rubare spunti sempre nuovi dalle nostre ricette classiche, raccontare casa mia, Roma, utilizzando la tecnica e la sperimentazione che ho appreso in questi anni. Chi viene nel nostro ristorante deve poter mangiare una cucina italiana di livello divertendosi”. La sua cucina – dice – è un ossimoro: “ci vuole molta manualità e capacità per far giocare il cliente, devi essere molto serio per creare qualcosa di molto divertente.
Il gioco è nel piatto, ai fornelli un’organizzazione quasi militaresca. Preciso, testardo, concentrato. Il giovane cuoco sembra non lasciare mai nulla al caso, anche se riesce a stemperare tutto col sorriso: “ho sempre avuto una mentalità che oserei definire molto militare: mi ponevo un obiettivo e facevo di tutto per raggiungerlo. Posso dire che grazie a questo approccio oggi sono quello che sono e sono arrivato dove volevo essere”.
Di esperienze ne ha fatte tante dopo l’avvio decisamente low profile in una mensa romana. Lo hanno segnato soprattutto gli anni in Spagna, prima nel laboratorio di creatività di Quique Dacosta, sotto il responsabile del settore creativo Juanfra Valiente, e poi nella cucina del ristorante tristellato. “Mi sono ritrovato a lavorare con 50 persone e non sapevo una parola di spagnolo, ma per me era l’occasione della vita e cercavo di dare tutto e prendere altrettanto. La creatività era tutto”.
Il menu degustazione – il nono da quando è all’Imàgo, si apre con un classico aperitivo da bar italiano, interpretato da Antonini con un pacchetto di patatine fatte con la pelle e il fondo di pollo alla diavola, mentre le noccioline sono rappresentata da una cialda di arachidi soffiate condite da una salsa honey mustard con miele, senape e arachidi salate. Accanto una falsa oliva all’ascolana composta da una tartare di manzo affumicata coperta da una gelatina di olive verdi e impanata nel pan grattato. Il tutto accompagnato dal “bitterino” Zibbardino, prodotto e imbottigliato internamente.
Delizioso e inaspettato il calamaro alla milanese, che si presenta come un vero e proprio risotto. Gli omaggi alla romanità continuano con la ciabatta e porchetta, una ciabattina di 6 cm farcita da una porchetta di pancia di maiale marchigiano biologico e un filo di maionese al pepe, e le coppiette, un classico delle trattorie di Roma e dintorni di cui, confesso, ignoravo l’esistenza. Nel passato erano ricavate da carne di cavallo speziata ed essiccata, all’Imàgo vengono proposte con carne di maiale. E per concludere la trilogia romanesca l’ abbacchio in triplice presentazione, dove vince la costoletta cotta alla brace servita con patate ed erbe.
Interessante anche il carrello dei formaggi: 34 produzioni artigianali italiane frutto di personale selezione dello chef. I dolci sono garantiti dal pastry chef Luca Villa, in passato braccio destro di Jordi Roca, che propone a fine serata anche un inusuale carrello di petit four.
Tutto è eseguito con tecnica impeccabile e certosina ricerca delle materie prime. Un buon esempio di cucina contemporanea di alto livello (una seconda stella non starebbe larga) ma sempre ancorata al territorio.