Due note positive e qualche riflessione per il futuro. È quello che – da italiani – ci portiamo dalla serata di ieri a València. Era la premiazione dei 50 Best Restaurants, la lista dei 50 locali che in giro per il mondo sono considerati i più contemporanei, creativi, in grado di leggere il mondo in cui sono immersi, creare o rinnovare tendenze. La notizia, se vogliamo, è già vecchia, dilatata come è stata da migliaia e migliaia di post sui social. Il 1° della lista è il ristorante Central di Virgilio Martinez e Pía Léon a Lima, Perù. Che è stato anche nominato miglior locale del Sudamerica.
Vittoria – o posizione, se si vuole essere più corretti – decisamente stra-meritata. Il lavoro che Virgilio e Pía conducono da anni va molto oltre le cucine di Lima, affonda le proprie radici in una relazione concreta e feconda con le comunità andine, fa della biodiversità non una bandiera di comodo ma un’urgenza costante.
Credibilità, perseveranza, impegno. Il cibo nel piatto è ovviamente ad alto tasso gastronomico, gioia del palato, ma è l’epilogo dell’altro percorso, ne trae sostegno. Quindi viva Central, che molti davano per favorito, anche se si erano alzate più voci con pronostici alternativi, soprattutto a favore di Diverxo. Il funambolico ristorante di Dabiz Muñoz è risultato terzo, parte del folto drappello spagnolo che vede Disfrutar in seconda posizione e il premio Icona dell’anno all’immaginifico Luis Aduriz Andoni.
E veniamo all’Italia. Grande festa per Lido 84 dei fratelli Camanini che sale ancora di un posto e agguanta il settimo. Il Reale di Niko Romito è 16, solo uno scalino più in basso rispetto allo scorso anno. Uliassi di Mauro Uliassi dopo l’exploit dello scorso anno si classifica al n. 34. Scendono anche Le Calandre di Massimiliano Alajmo, attestato al 41mo posto e Piazza Duomo dove officia Enrico Crippa, che passa al n.42.
Quale bilancio trarre? L’ottimo posizionamento dei Camanini, sempre più inseriti nel circolo delle cucine di tendenza internazionale, è un segnale forte. Inoltre andrebbe sottolineato che solo la Spagna ha sei insegne nei primi 50, noi veniamo subito dopo con 5, senza dimenticare che Norbert Niederkofler, lo scorso anno al 29mo posto, è assente dalla lista non per demerito ma perché non poteva essere votato, avendo chiuso pochi mesi fa il St. Hubertus a San Cassiano. Nella lista “estesa” 51-100 ha fatto ingresso Enrico Bartolini.
La concorrenza a livello internazionale è serrata, il marketing fa il suo lavoro e le pubbliche relazioni altrettanto. Una certa dose di avvicendamenti nella lista è fisiologica, ma di sicuro l’ottima salute di cui gode oggi l’alta cucina italiana merita riconoscimenti ancora più ambiziosi. Il Governo attuale è sostenitore convinto del Made in Italy, non dovrebbe essere difficile sottolineare il peso e il traino economico – sostenuto dai risultati di vari studi e ricerche – del gastro-enoturismo sui territori. Non servono tanto cabine di regie quanto progetti efficaci. Di sicuro si può fare.
E poi, certo, ci sono le tendenze. La lista di quest’anno presenta 12 debutti, con il forte peso dei sudamericani e degli asiatici, e sposta un po’ gli equilibri geografici. Si impone una nuova attenzione verso il Medio Oriente con l’11mo posto di Trèsind Studio a Dubai, nominato The Best Restaurant in Middle East & Africa, e l’Orfali Bros Bistro, sempre a Dubai, in 46ma posizione. Una grande soddisfazione (e perché no, una rivincita) per l’emozionatissimo chef di Trèsind, Himanshu Saini, che quando comparve sulla scena secondo alcuni non aveva chance di divenire l’interprete della cucina indiana contemporanea.
Premiata anche una concezione più disinvolta e innovativa dell’alta cucina (vedi il secondo posto di Disfrutar e il quinto di Alchemist). Se da un lato il fine dining è sempre più elitario – per i prezzi imposti dagli alti costi di gestione – dall’altro sembra guardare con meraviglia e vicinanza alla visione del mondo delle nuove generazioni. Un apparente ossimoro in cui si racchiude la magia di questo mestiere.