Come sarà il vino del prossimo decennio, stretto nelle sfide del cambiamento climatico, le dinamiche del gusto globale e l’attacco concentrico delle istituzioni internazionali che tendono a criminalizzarlo come un pericolo per la salute?
Hervé Birnie-Scott, bella faccia scolpita, capelli brizzolati, nel suo inglese che denuncia la terra d’origine, non sembra troppo preoccupato. È un testimone prestigioso dei vini del nuovo mondo, artefice del successo di Terrazas de los Andes, il marchio argentino di Moët Hennessy. “Continuerà l’evoluzione del vino verso la qualità, da privilegiare ai numeri – dice – i vini saranno sempre più espressione precisa del territorio, con un impegno concreto al rispetto dell’ambiente e della biodiversità”.
Come già si fa oggi, berremo meno ma berremo meglio. “Le case vinicole da tempo hanno compreso che occorre andare in questa direzione – continua il responsabile delle cantine di Mendoza – dobbiamo ottimizzare l’uso delle risorse, nel nostro caso l’acqua, utilizzare bottiglie più leggere, avere sempre più attenzione anche alla sostenibilità sociale”.
Se il cambiamento climatico sarà inesorabile si fronteggerà con vitigni più resistenti o spostando i vigneti in aree più adatte. “In questo senso noi a Mendoza, ai piedi delle Ande, siamo privilegiati: la cantina è a 1000 metri di altitudine, se ci spostiamo 80 chilometri più a sud abbiamo un clima simile a quello della Spagna meridionale, 80 chilometri a nord ritroviamo caratteristiche simili alla Champagne. In Europa certo è meno facile…”.
Hervé ha idee molto chiare anche su come dovranno essere i vini del prossimo futuro. È finita l’epoca dei vini molto alcolici, rotondi al limite dell’omologazione gustativa. “Il vino deve sempre essere espressione del frutto – spiega – avere freschezza, finezza ed eleganza. Non dobbiamo produrre vini troppo alcolici, l’ideale è sotto i 14 gradi. Un grande vino è un vino facile da bere (anche se non facile da produrre) con grandi potenzialità di invecchiamento”.
Dovremo abbandonare vitigni anche molto amati in favore di quelli più ‘resistenti’? “Non sarebbe una tragedia – rassicura Birnie-Scott – l’importante è che il vitigno prescelto esprima al meglio il terroir e la sua biodiversità, questo diremo al consumatore e poi magari aggiungeremo, by the way questo non è un Malbec, ma un Grenache”.
L’occasione di questo scambio con l’enologo francese – si è parlato anche di vino dealcolato che “è una bibita, non un vino” e di nuovi mercati – è una degustazione delle sue etichette argentine decisamente insolita. Siamo in Norvegia, a Loen, punto d’incontro di fiordi mozzafiato e punto di partenza di Skylift, funivia che in pochi minuti, in ascesa praticamente verticale, sale di 1000 metri. All’arrivo si toccano 1011 metri, praticamente la stessa altitudine dei vigneti di Mendoza. La due giorni di esperienza immersiva è stata ispirata dalla storia di Terrazas de los Andes e al viaggio compiuto da Hervé Birnie-Scott sulle ‘terrazze’ d’alta quota delle Ande: una combinazione di altezze vertiginose e natura incontaminata.
Nel 1991 Hervé era approdato in Argentina per partecipare a un progetto di Moët Hennessy. L’obiettivo era esplorare il territorio di Mendoza, alla ricerca dei migliori vigneti di alta quota e di futuri appezzamenti, per creare una linea di vini più freschi ed eleganti rispetto a quelli prodotti negli assolati terreni di pianura. Munito unicamente di un altimetro risalente ai tempi della Prima Guerra Mondiale, della sua vasta esperienza di viticoltura in climi freddi e di un’idea lungimirante, l’enologo francese aveva ben chiaro l’obiettivo: creare vini nuovi che raccontassero la specificità del luogo, coltivando le pendici più estreme di quelle suggestive montagne. “Sono sbarcato alla fine del mondo e ho scoperto il suo terroir guardandolo senza pregiudizi – spiega Hervé -. “Credo di essere stato uno dei primi ad andare all’università per studiare le loro carte topografiche. Alcune zone sono caldissime e assomigliano a quelle de La Mancha, in Spagna. Ma mi sono reso conto che per ogni 100 metri conquistati in altezza le temperature scendono di un grado Celsius”.
Così nasce Terrazas de los Andes. Con la vendemmia del 1996 è stato creato il primo Millesimato di Reserva Malbec con etichetta Terrazas, messo in commercio nel 1999. Gli abitanti del luogo coniarono per Hervé il soprannome di “el loco frances” (il francese pazzo) per il suo tentativo, che durava da anni, di catturare il gusto puro e fresco delle Ande in quelle alture che richiedevano una viticoltura estrema. “Eravamo sicuri della superiorità dei vigneti di alta quota; non potevamo contare su fornitori esterni e quindi abbiamo continuato ad acquistare terreni per piantare le viti e raggiungere una massa critica di uve da clima freddo”, sottolinea Hervé. “Nella Valle di Uco, originariamente, c’erano frutteti e alcuni vigneti, ma erano stati estirpati negli anni ’70 e ’80. Nel 1994, noi di Terrazas abbiamo riportato la coltivazione delle viti nella Valle di Uco. Siamo stati i primi a piantare vitigni a 1230 metri di altitudine, a Gualtallary”. Era senz’altro rischioso perché le uve avrebbero potuto congelarsi in inverno, ma gli eccellenti risultati di questo esperimento hanno incoraggiato la Tenuta ad acquistare ancora altri terreni in questa valle così promettente.
Oggi Terrazas de los Andes copre un mosaico di oltre 200 singoli appezzamenti in alta quota, irrigati utilizzando l’acqua del ghiacciaio. La tenuta El Espinillo è il vigneto più alto: si trova a Gualtallary, ad un’altitudine di 1650 metri, ed è il fiore all’occhiello della tenuta.
L’equipe di Terrazas sente una particolare responsabilità nel tutelare il fragile ecosistema della montagna. Ogni goccia d’acqua va difesa, dice Hervé, e lo facciamo impegnandoci con un’agricoltura rigenerativa: “la vegetazione autoctona attorno al vigneto per me sta assumendo la stessa importanza delle viti: è tutta questa energia catturata dalle loro foglie e dalla vegetazione circostante che va ad alimentare nuovamente il terreno”. E quindi oltre ad ottimizzare il consumo di acqua, attuare una viticoltura biologica e rigenerativa e promuovere la biodiversità, la tenuta misura la propria impronta ambientale, utilizza un packaging ecologico e supporta le comunità montane con programmi diretti e indiretti per bambini e adulti.
A Loen è stata organizzata una cena in vetta affidata a Brian Bøjsen, chef di origine danese ambassador di Terrazas de los Andes e testimone del “Wild Scandinavian Cooking”, attraverso l’utilizzo di prodotti locali e di metodi di cottura naturali, preferibilmente a fuoco vivo.
Così ha voluto esaltare gli ingredienti locali tipici del luogo: funghi chantarelles raccolti a mano, carni norvegesi, pesce fresco e frutti di mare. Abbinati – mirabilente – con Malbec e Chardonnay Terrazas de los Andes.