Ducasse: se nessuno discute i prezzi dell’haute couture perché farlo per l’alta cucina?

Duemila occupati in giro per il mondo. Trentatré ristoranti in 9 paesi. Diciotto stelle Michelin. Il prossimo macaron sarà assegnato a qualche centinaio di metri dal Pantheon? La profezia potrebbe avverarsi a breve, vista la rapidità con cui è arrivata la stella al suo altro indirizzo italiano.

Stiamo parlando di Alain Ducasse, di chi se no? Il grandissimo chef francese che riesce nell’(apparente) ossimoro: tenere insieme impresa e qualità.

In Italia ha deciso di unire il suo nome all’hotellerie di lusso della famiglia napoletana Romeo. Ha aperto un ristorante al Romeo storico, quello affacciato sulla baia di Napoli. E da pochi giorni è operativo nel ristorante che porta il suo nome all’interno del nuovo Romeo Roma, in via Ripetta, a due passi da Piazza del Popolo. Un’imponente opera di ristrutturazione che ha coinvolto tre palazzi, uno dei quali cinquecentesco, comportato gravose procedure burocratiche, incontrato ogni genere di intoppi e impiegato dieci anni per arrivare a conclusione. Il risultato è un hotel super contemporaneo, firmato Zaha Hadid, dalle linee fluide, vestito con materiali naturali e inserti high tech, capace di dialogare con le vestigia di un glorioso passato.

Al pianterreno, affacciato su via Ripetta, il Ristorante Alain Ducasse Roma, l’unico outlet dell’hotel aperto ad ospiti esterni. Raffinato ed elegante, con una inusuale cucina a vista che dispone i piani di lavoro delle diverse linee a spina di pesce, il locale è destinato ad un pubblico di foodies internazionali ma vuole parlare anche ai romani. Ingredienti tipici, mano francese. Il savoir faire è affidato al giovane Stèphane Petit, che guida la brigata con la consapevolezza di rappresentare un monumento della gastronomia mondiale e la leggerezza di uno sguardo disincantato e curioso. Ducasse l’ha spedito in Italia con molti mesi di anticipo perché potesse fare debita conoscenza con gli ingredienti locali. La ricetta è di elementare chiarezza: esaltare le materie prime italiane “alla francese”, proponendo una cucina “mediterranea” di gusto contemporaneo. Il risultato è un menu degustazione – unica scelta proposta agli ospiti – di nove portate. Pesci, carni e molto vegetale, in linea con le preferenze dello chef Ducasse. E una concessione – bizzarra – alle richieste di Alfredo Romeo, il proprietario dell’albergo. Un piatto di pasta fresca che sposa tagliolini di perfetta fattura a micro-tortellini. Un ensemble piuttosto curioso, celato da una coltre di tartufo umbro. “A me piace e diverte” confessa Ducasse ai più scettici.

Convince chiunque invece il carciofo violetto pugliese abbinato all’ostrica, così come la zucca moscata con il riccio e la strepitosa lingua di vitello alla brace con rucola e senape.

“Abbiamo una proposta gastronomica contemporanea – afferma Ducasse – in armonia con il design dell’hotel”. Quali ingredienti romani lo hanno affascinato di più? “In generale amo molto i prodotti italiani – spiega – in particolare l’olio d’oliva, non potrei farne a meno. Quando sono qui vado nei mercati, quando giro tra i banchi vorrei prendere tutto…”.

 E non a caso il piatto che ha più soddisfatto il cuoco francese nella cena di pre-apertura, sono state le puntarelle della campagna romana, con colatura di alici e crema di bufala. Un piatto “giusto”, di perfetta armonia, ha dichiarato.

Da tempo Ducasse ha sposato la cucina vegetale. “Prima che buona ‘da mangiare’ la cucina oggi deve essere buona ‘da pensare’ – afferma – dobbiamo mangiare meno ma meglio”. Non si tratta di escludere del tutto dei prodotti, ma di scegliere con accuratezza. “Dobbiamo consumare meno proteine animali e più vegetali e legumi, dobbiamo mangiare meno ma meglio, essendo disposti a pagare di più i produttori che lavorano con coscienza. E non è necessario far arrivare in aereo dal Giappone un pezzo di carne, seppure eccelsa: qui in Italia, ma anche in Francia, le alternative non mancano. Quando parliamo di sostenibilità parliamo anche di questo”.

Come sarà l’alta cucina nei decenni a venire? “La cucina è come la moda, che si declina in varie proposte, dal mass market alla haute couture, passando per il country chic e il prêt-à-porter. Lo stesso vale per la proposta gastronomica, dallo street food al bistrot fino al fine dining. Solo che nessuno si scandalizza se una borsa di Dior costa migliaia di euro mentre alcuni storcono il naso per il conto di un grande ristorante. Mentre nel primo caso si ritiene sia una giusta remunerazione del talento per l’alta cucina si dimentica che dietro c’è un’impresa e che i costi sono spesso proibitivi, dalla manodopera, agli arredi, alla cantina. In definitiva il conto al ristorante dovrebbe essere ben più alto”.

Photo credit: Matteo Carassale/Chris Dalton