Quando penso alla Nuova Zelanda, devo ammetterlo, la prima cosa che mi viene in mente è la vela. Troppo belli i ricordi degli incontri con i team di Coppa America: in generale i velisti sono gli intervistati più simpatici e alla mano (vale incredibilmente anche per i colleghi giornalisti che si occupano di nautica, molto meno spocchiosi di altre “compagnie di giro”).
Ma a ricordarmi che i Kiwi sanno fare anche altro viene in soccorso Cloudy Bay, un marchio di vino della Wairau Valley, pittoresca valle a metà tra le vette delle Richmond Ranges e le coste delle Winter Hills nel Marlborough. Il suo nome non rimanda a cieli foschi ma si rifà al modo in cui l’esploratore James Cook, nel 1770, ribattezzò il fiume al confine settentrionale della valle: le sue acque erano state rese opache dai sedimenti depositati da un’alluvione che aveva colpito la baia in cui Cook era approdato durante il suo viaggio in Nuova Zelanda.
David Hohnen, fondatore della cantina, era stato conquistato dal Sauvignon Blanc ricevuto in dono da alcuni viticoltori neozelandesi in visita ai suoi vigneti di Cape Mentelle, in Australia. Dopo aver conosciuto a Auckland il futuro socio Kevin Judd, si è innamorato del Marlborough e ha scommesso sulle opportunità vitivinicole della regione. Nel 1985 è arrivato il primo Millesimato.
Cloudy Bay, oggi parte del colosso francese LVMH, è nota soprattutto per i suoi Sauvignon e Pinot Neri. Che ha portato a Milano per una degustazione nella cornice liberty del nuovo Cracco in galleria. Due Sauvignon (Sauvignon Blanc 2017 e Te Koko 2014, più strutturato e fermentato in botti di quercia francese) e due Pinot Noir (Pinot Noir 2015 e Te Wahi 2014, realizzato con uve della regione del Central Otago, sempre più riconosciuta come terreno ideale per il vitigno, tanto da competere con Oregon e Borgogna).
Ad accompagnarli degnamente i piatti dello chef: da un inconsueto uovo rosa, con barbabietola e lattuga al classico musetto di maiale con sugo di crostacei. Prosit!