Il futuro del vino siciliano, tra identità e cultura

È quella che molti definirebbero la tempesta perfetta. Consumi in discesa a livello mondiale, attacco delle lobby salutiste, cambiamento climatico e natura sempre più spesso imbizzarrita. Eppure il vino anche questa volta supererà la crisi. Magari reinventandosi in qualche segmento di offerta, andando incontro ai gusti mutevoli dei consumatori – soprattutto quelli giovani – o al contrario rivendicando la profondità dei propri valori e il patrimonio di storia, tradizione e saper fare.

Di tutto questo, o meglio anche di tutto questo, si è discusso durante l’ultima edizione, la 21ma, di Sicilia en Primeur, il consueto appuntamento di presentazione dell’annata del vino siciliano. Un’edizione che ha visto qualche preoccupazione ma soprattutto espresso fiducia ed entusiasmo. Con la consapevolezza della ricchezza enorme rappresentata dalla produzione vinicola di quella che a tutti gli effetti è un continente più che un’isola. Come sempre la manifestazione è stata organizzata da Assovini Sicilia, l’associazione che rappresenta da 27 anni il vino siciliano e raggruppa 100 aziende vitivinicole. Confermando ogni anno l’illuminata lungimiranza dei padri fondatori – Diego Planeta, Giacomo Rallo e Lucio Tasca d’Almerita – all’atto di costituzione nel 1998.

Il ruolo centrale dell’associazione nel dibattito globale che riguarda il mondo del vino è stato rivendicato dalla presidente Mariangela Cambria definendo un manifesto programmatico “che fa leva sul valore culturale del vino e sui fattori principali che oggi lo definiscono: enoturismo, sostenibilità, consumo consapevole, qualità produttiva”.

“Oggi, di fronte alle sfide globali che vedono il vino al centro di un acceso dibattito – ha ricordato – è fondamentale tornare alle nostre radici per riflettere e rispondere alle sfide future. La prossima sfida per Assovini Sicilia non è solo mantenere alta la qualità della produzione vinicola e investire in sostenibilità, ma anche tutelare il valore culturale contro dinamiche internazionali restrittive, contro un pensiero che criminalizza un prodotto di civiltà, conoscenza, bellezza e tradizione”.

Questo si riesce a fare continuando a guardare avanti, anticipando bisogni e criticità, imparando nuovi linguaggi e rivendicando la propria identità.

Molto interessanti da questo punto di vista gli spunti offerti dall’intervento di Vincenzo Russo, ordinario di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing e coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing “Behavior and Brain Lab” presso l’Università IULM di Milano, al convegno che si è tenuto al Castello dei Conti di Modica che ha ospitato le degustazioni di trecento etichette. Partendo da una degustazione sperimentale con i presenti Russo ha illustrato “i segreti del cervello per l’esperienza enologica”. Il sapore di un vino può essere modificato da aspetti percettivi che nulla hanno a che fare con il prodotto stesso? “Sono state condotte numerose ricerche – ha spiegato Russo – dall’effetto dei colori dei prodotti alle luci di un locale, dalla musica del luogo di assaggio al modo di presentare un piatto. Si tratta di elementi solo apparentemente secondari. In realtà questi aspetti possono modificare o rinforzare certe sensazioni gustative”.

Il vero problema di chi fa ricerche di mercato nel mondo del vino secondo il ricercatore è che, come disse David Ogylvi nel 1963, i ‘consumatori non pensano a quello che sentono, non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono’. Di conseguenza le ricerche realizzate con strumenti tradizionali, come i questionari e le interviste, non sempre riescono a dirci la verità su ciò che funziona dal punto di vista del marketing. “Le tecniche di neuromarketing – ha suggerito – ci offrono oggi degli strumenti potentissimi per poter avere indicazioni precise dell’efficacia persuasiva di un messaggio o di un’etichetta. Inoltre, la conoscenza del cervello ci permette di creare messaggi sempre più persuasivi ed efficaci”.

L’importanza di una comunicazione corretta non sminuisce tuttavia le altre esigenze, in primo luogo la tutela e valorizzazione. A Modica sono state illustrate le potenzialità dei nuovi contrassegni di Stato. Felice Assenza, capo dipartimento ICQRF (Ispettorato centrale qualità e repressione frodi) del Masaf, ha sottolineato l’importanza di rafforzare i sistemi di tracciabilità e controllo per proteggere l’identità e la competitività del vino italiano nel mondo: “oltre a garantire una leale concorrenza tra produttori, contribuiscono a eliminare dal mercato prodotti contraffatti e a contrastare il fenomeno dell’Italian sounding, particolarmente”.

E infine il tema essenziale della sostenibilità. Alessio Planeta, consigliere della Fondazione SOStain Sicilia, ha presentato nuovi progetti come l’“Honeybees and vineyard” sul ripopolamento e biomonitoraggio apistico, e la “Bottiglia leggera – CentoperCento Sicilia” che mira alla riduzione dell’impronta carbonica. La Fondazione SOStain Sicilia, nata dalla volontà e dalla sinergia tra Assovini Sicilia e il Consorzio di Tutela vini Doc Sicilia, conta oggi quarantaquattro aziende associate e 23,6 mila bottiglie certificate SOStain Sicilia.