Dopo l'epopea spagnola e l'innamoramento globalizzato per le ascetiche cucine del Nord Europa é il momento magico del Sudamerica. Qui, nonostante la stretta sorveglianza nella composizione dei piatti, precisa e rigorosa secondo gli standard dell'alta cucina internazionale, i sapori, i profumi e l'esotismo delle materie prime prende gagliardo il sopravvento. Per fortuna. S'impone un' identità esuberante che regala esperienze indimenticabili.
Almeno questo è quel che è accaduto a me. Cosa non potrò dimenticare? Sicuramente le formiche di Alex Atala. Quando le ho viste, posate su un quadratino di ananas caramellato e neanche troppo minuscole ho traballato un po'. Tabù culturale, ovviamente, per una che non si fa problemi a mangiare lumache. Comunque posso garantire che é vero quel che dicono: le formiche amazzoniche hanno un intenso sapore di lemongrass. Nel locale di Atala, il D.O.M. di San Paolo, elegantissimo e pieno di memorabilia, si ritrova la borghesia paulista (la sera in cui sono andata ero l'unica straniera) anche famiglie con bambini. Piatti ineccepibili, un uso generoso di erbe e materie prime locali (incantevoli le "fettuccine" di palmito con polvere di popcorn e l'ostrica impanata con marinata di tapioca). Nella penombra dell'ambiente si riconoscono sulle mensole un Elvis Presley dei giorni gloriosi accanto a un birillo da bowling fianco a fianco con un trofeo di caccia e persino un'anatra impagliata. E sulla piccola mensola che sporge invece dalla cucina a vista s'intravedono piccoli oggetti che immagini residui di antiche macumbe.
Quando non vanno al D.O.M. le super levigate signore-bene della città si fanno portare da mariti danarosi quanto pazienti (le donne parlano in continuazione) al ventitreesimo piano del Tivoli, uno degli hotel più chic di questa città ricca e asserragliata. Locale elegante con vista mozzafiato. Qui Sergi Arola prestante bistellato spagnolo, famoso per le sue tapas, ha aperto la sua sede brasiliana. E l'ha consegnata nelle mani di un argentino di origini italiane altrettanto fascinoso e pieno di tatuaggi. A dispetto dell'aria modaiola Fernando Coradazzi ha un curriculum di tutto rispetto, ha studiato in Italia, é stato ai fornelli di Gualtiero Marchesi e ha una quindicina d'anni d'esperienza nelle migliori cucine europee. Per quel che mi riguarda ricordo le tapas di patate, omaggio ad Arola, e un maialino straordinario. Alle tapas si sono aggiunti molti nuovi piatti di grande godibilità che assecondano la passione dello chef per i frutti esotici.
E non poteva mancare una tappa dalla nuova signora della cucina sudamericana, Roberta Sudbrack, che pratica a Rio. Nel suo locale, essenziale ed accogliente, con una spiccata predilezione per il rosso e raffinate scelte musicali, offre un menù essenziale. Pochi piatti nella breve lista, ma in compenso una assai curata offerta di vini. Qui il problema é capire e farsi capire. Praticamente nessuno parla inglese, anche se molti commensali sono turisti stranierei, quindi si va sulla fiducia.
Subito arriva un tagliere con salame brasiliano (!) accompagnato da bigné privati della base. Poi la chip di madioca – proprio così, non manioca, come mi ha corretto su Twitter la simpatica Roberta. I sapori sono schietti e il rispetto delle proprie radici totale e senza sconti con un'attentissima ricerca delle materie prime.
L'unico problema é che gli chef non ci sono. A parte Coradazzi. Atala é in Australia e anche la Sudbrack non é in cucina. Si sa quanto é importante per i cuochi girare il mondo, partecipare ai congressi, confrontarsi con i colleghi. Ma chi va a mangiare al loro ristorante li vuole vedere, magari scambiarci quattro chiacchiere, anche se li hanno già conosciuti a qualche tappa del campionato del mondo di Formula Uno dei fornelli.