Sempre più pesci e crostacei sulle tavole cinesi. Non solo sushi. A Pechino e Shanghai tonno crudo e ostriche sono ormai un must per i nuovi ricchi. Ma come tutto quel che accade in Cina anche questo mutamento della dieta locale rischia di avere effetti planetari. L'indice Fao dei prezzi del pesce (sia allevato che pescato) ha toccato un picco alla fine del mese scorso, registrando un aumento del 15% rispetto all'anno precedente e la corsa sembra continuare. Anche per la lenta costante disceca del pescato.
L'industria del pesce muove circa 130 miliardi di dollari. La Cina, ricorda il Financial Times, è la maggior produttrice di tilapia ma sta aumentando a vista d'occhio le importazioni di pesce pregiato come salmone e crostacei (il consumo di ostriche e cozze aumenta del 20% l'anno e il prezzo delle ostriche francesi è più che raddoppiato negli ultimi tre anni).
Prezzi che salgono mentre si restringe l'offerta (nel caso delle ostriche e dei gamberetti a causa della diffusione di un virus) e aumentano i costi dei mangimi per gli allevamenti. Persino le acciughe, usate nell'acquacultura di pesci più grandi, sembrano essere meno disponibili sul mercato. L'Italia ha un posto ragguardevole nella produzione, con circa un migliaio di allevamenti intensivi, con 40mila tonnellate di salmoni e affini e 18mila tonnellate tra spigole, orate e saragi.