Si chiama Iwa5 ed è la nuova frontiera del sake


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“Tutto nella vita è assemblaggio”. Richard Geoffroy strizza gli occhi e sorride mentre alza il calice. Un gesto che ha fatto migliaia di volte nella vita. Di solito nel bicchiere danzavano le bolle di champagne. Oggi si leva il profumo esotico del sake, millenaria bevanda giapponese. Richard è stato per 28 anni il cerimoniere-alchimista dello champagne più iconico al mondo, Dom Pérignon. Ora ha abbracciato una nuova avventura dall’altra parte del pianeta. Con egual ambizione e risultati sorprendenti.

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 Il suo sake, ça va sans dire, è unico, e per molteplici ragioni. Per produrlo si è fatto costruire una distilleria nella terra delle nevi – a Shiraiwa la coltre bianca può raggiungere i venti metri – chiamando un’archistar del calibro di Kengo Kuma. Utilizza tre diversi risi provenienti da quattro aree distinte e cinque differenti varietà di lievito. Cura maniacale nella fermentazione e nessuna aggiunta di alcol. Ma il vero segreto è l’assemblaggio, che è sempre stato la sua firma anche in terra di Champagne. “Il mio compito – racconta – è la ricerca di equilibrio ed armonia”. Una ricerca sempre portata all’estremo, correndo sul filo.

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Iwa5, questo il nome del distillato traducibile in roccia, è il risultato di innumerevoli prove e versioni, dove confluiscono diversi sake e anche qualche riserva. Non a caso 5 è il numero che in Giappone rappresenta il valore universale dell’Equilibrio e dell’Armonia.

Per raggiungerla Geoffroy questa volta ha dovuto davvero inerpicarsi per vie impervie. “Si dice spesso che la seconda fase di un progetto sia la più difficile. Quanto è vero! Ma qui – spiega – è stato per puri motivi di contesto. A causa della pandemia, ho dovuto, tristemente, rimanere a casa, in Francia, lontano dal Giappone dove nasceva Assemblage. I campioni di ogni singolo componente dovevano essermi spediti, e io dovevo trarre il massimo dal telelavoro. Pur dovendo affrontare così tante difficoltà logistiche e così tante sfide, sono rimasto focalizzato, dando priorità alle mie scelte. E questa è stata un’occasione di apprendimento e di esperienza, tanto a livello personale che per lo stesso progetto IWA 5. Credo che questi vincoli mi abbiano spinto a lavorare e performare ad uno standard ancora più elevato”.

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Il risultato è un sake di gran complessità ma versatile e “accessibile”, proprio come lo voleva Richard. All’assemblaggio deve il colore caldo, l’opulenza e la setosità. Mille sfumature d’assaggio e – sorpresa – un’identità camaleontica che muta al variare delle temperature di degustazione. A 10° è sobrio, preciso, cristallino e floreale, a 14° acquista energia, è più persistente e speziato. A 18° diventa ampio, corposo, suadente, con sentori di liquirizia.

Non essendo un sake come gli altri anche il suo consumo è particolare. Si può bere a tutto pasto, si abbina con eleganza ad una cena kaiseki come a un pranzo a base di pesce. Servito in un ballon accompagna bene un dessert. 

In un progetto dove nulla è lasciato al caso anche la bottiglia è d’autore: il designer Marc Newson ha letteralmente scolpito IWA nel vetro, utilizzando un ideogramma realizzato dalla calligrafa Mariko Kinoshit. Perché Iwa è un progetto radicalmente giapponese.

L’aspirazione di Geoffroy tuttavia era quella di creare un sake capace di oltrepassare i confini del Giappone. Pur essendo la bevanda tradizionale del paese, il consumo del sake è sempre stato domestico. Ed è calato nel corso degli ultimi decenni. Oggi, in questa nuova versione più cosmopolita, gli si aprono tutti i mercati. E in Europa si comincerà proprio dall’Italia.