Cosa c’entra un neutrino con l’andamento delle piogge e le caratteristiche aromatiche del Catarratto (possibile new big thing dell’enologia siciliana)? Bisognava essere ad Erice nei giorni scorsi per seguire il filo rosso che lega fisica, bioeconomia, agricoltura sostenibile ed enologia. L’inusuale collegamento è stato il fulcro dell’edizione 2022 di Sicilia en Primeur, la manifestazione che presenta ogni anno i nuovi vini siciliani e alle degustazioni accompagna un momento di riflessione sulle prospettive del settore. Anno dopo anno lo spazio dell’approfondimento si è allargato a uno sguardo che vuole essere lungimirante: l’analisi del presente cede il passo alle sfide future e agli strumenti per affrontarle.
Quest’anno il claim era “Back to the Roots”, un attaccamento alle radici che non vuole essere ritorno alle origini, quanto un impegno per il futuro capace di metabolizzare e far evolvere le buone pratiche e gli insegnamenti del passato.
Da questo punto di vista la Sicilia enologica è un laboratorio straordinario. Un vero e proprio continente, che spazia dai vigneti au bord de l’eau alle viti ad alberello pre-fillossera sulle pendici del vulcano, una grande ricchezza di varietà autoctone, e un patrimonio di tradizioni agricole che sono state custodite più che altrove.
“Il tema scelto per questa edizione “Back to the roots. La Sicilia vive il futuro”, assume un valore significativo ed attuale perché mette la produzione vitivinicola siciliana al centro del dibattito sui cambiamenti climatici, e candida l’isola come pioniera nella vitivinicoltura sostenibile 4.0” spiega Laurent de la Gatinais, presidente di Assovini Sicilia, l’associazione che raggruppa 90 aziende, con un fatturato globale di più di 300 milioni, e rappresenta più dell’80% del valore del vino siciliano imbottigliato.
La capacità dei produttori e del territorio siciliano di adattarsi negli anni a condizioni estreme – dalla scarsità idrica alle elevate temperature – secondo de la Gatinais ha permesso “di acquisire un know how che oggi è alla base di un modello siciliano di vitivinicultura sostenibile”.
Non a caso l’isola ha il vigneto “verde” più esteso d’Italia, il 30% della superficie nazionale condotta in biologico e sono 42mila gli ettari coltivati senza uso di concimi e diserbanti (tra bio e lotta integrata). “La Sicilia è un territorio che, per sua stessa natura, identifica nella sostenibilità la chiave di volta del sistema vitivinicolo – commenta Antonio Rallo, presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia -. L’industria dell’isola si muove in questa direzione, verso vini di qualità, autentici e riconoscibili nella loro identità e sostenibili lungo tutto il processo di produzione”.
La strada verso una sostenibilità sempre più completa è tracciata e perseguita con vigore dalla Fondazione SOStain Sicilia che ha tra i suoi scopi lo sviluppo etico e sostenibile del settore vitivinicolo regionale. Dove etico sta a rappresentare la necessità di essere sostenibili non solo sul terreno ma a 360 gradi, a livello sociale ed economico. “La Fondazione vuole accompagnare e indirizzare le cantine (ad oggi sono 26 le aziende associate con una superficie vitata di 28mila ettari, ndr) verso la misurazione costante e la riduzione dell’impatto che le pratiche agricole hanno sul territorio” spiega il presidente Alberto Tasca, appoggiandosi a “un comitato scientifico indipendente per tutelare la biodiversità e conservare il capitale naturale siciliano”.
Le sfide sono tante. E anche in un territorio così vocato i cambiamenti climatici potranno imporre scelte drastiche. Tuttavia, “oggi la Sicilia si trova in una condizione di privilegio rispetto ai cambiamenti climatici europei e globali, nel senso che alcune preoccupanti dinamiche meteo-climatiche sono più lente, pur dovendo fare i conti con fenomeni meteorici sempre più estremi” ha spiegato Mattia Filippi, enologo e fondatore di Uva Sapiens durante il convegno di apertura ad Erice che si è svolto al Centro Internazionale di Cultura Scientifica Ettore Majorana. “La Sicilia vitivinicola è meno esposta ai cambiamenti climatici grazie ai suoi suoli, terroir, alla biodiversità e ai suoi microclimi” ha aggiunto Marco Moriondo, ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del CNR di Firenze.
E i neutrini? Li ha portati sulla scena il professore Pierluigi Campana, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, raccontando come i rilevatori del neutrino siano utili per scoprire le frodi del vino. Campana ha raccontato la vicenda del celebre collezionista Koch che aveva acquistato per 500mila dollari quattro bottiglie di Chateau Lafite appartenute al presidente Thomas Jefferson.
A un certo punto, dubbioso sull’autenticità delle bottiglie, Bill Koch fece intervenire un ex agente dell’Fbi per verificarla. A questo punto entra in gioco un fisico francese che misura l’età del vino in base alla presenza o meno di cesio 137, un elemento non presente in atmosfera prima delle prime esplosioni nuclear: se il cesio è reperibile nel vino significa che la bottiglia è successiva alla Seconda guerra mondiale. Così era, il collezionista era stato truffato, ma non riuscì mai a recuperare i suoi soldi.