In Jamon we trust (ma solo se è Joselito)

Il cortador affetta – rigorosamente a mano – una coscia del 2015. Le piccole fette rettangolari che si allineano in maniera concentrica sul minuscolo piatto attraggono con forza magnetica, mentre si sorseggia un Dom Pérignon 2012. Non potrebbe iniziare meglio l’ottava edizione di Joselito Lab, l’incontro di quello che è stato definito il miglior prosciutto al mondo con il cuoco tristellato basco Eneko Atxa, patron di Azurmendi. Ogni anno – a parte l’interruzione forzata da pandemia – Josè Gomez affida i suoi straordinari prosciutti Pata Negra e le carni di maiale prodotte in Estremadura a un super cuoco (per l’Italia ci fu Massimiliano Alajmo) cui si chiede di lasciar spazio alla creatività per creare piatti speciali destinati in alcuni casi a transitare in carta.

L’alta cucina è un contesto abituale per lo Jamon Joselito e ognuno degli otto chef selezionati per il Lab ha realizzato piatti che restano nella memoria, ma questo abbinamento basco disvela affinità che vanno oltre i fornelli.

Eneko ha un’attenzione sincera all’ambiente che non si esaurisce nella struttura sostenibile del ristorante (Azurmendi ha ottenuto la certificazione Leed anche grazie a recupero dell’acqua piovana, energia solare e compostaggio) o nell’orto di proprietà – tristemente diventato un must nella narrativa gastronomica – ma vive nel rapporto costante con i fornitori dell’area e nella valorizzazione dei loro prodotti. Un piatto del pranzo realizzato per Joselito Lab qualche settimana fa era stato ideato solo la notte precedente: “uno degli agricoltori con cui lavoriamo – ha raccontato il cuoco – quel giorno mi aveva chiamato dicendo che aveva qualche chilo di piselli, frutto inatteso di questo climate change, di cui non sapeva che fare e così ho deciso di inserirli all’ultimo nel menù”.

Atxa e Gomez parlano la stessa lingua. I 20-30mila maiali di Joselito vivono bradi in un’area di oltre 200mila ettari, totalmente vergine, libera da ogni forma di inquinamento e nominata dall’Unesco come la meno contaminata d’Europa. Vagabondano anche fino a 15 km al giorno e arrivano a pesare quasi 200 chili. Si cibano di ghiande ed erba e vivono almeno due anni contro i 5-8 mesi dei maiali allevati per produrre prosciutti. La loro carne è priva di metalli pesanti e, come certificano i laboratori di ricerca spagnoli, sviluppa acido oleico, lo stesso del nostro extravergine. 

“L’erba è un antiossidante naturale – spiega Gomez – anche per questo il grasso dei nostri prosciutti è  insaturo e quasi trasparente”. Ciò fa sì che anche una coscia con sette anni di invecchiamento non corra alcun rischio di sviluppare aromi rancidi. “Ma questo è niente – continua il patron di Joselito – ci apprestiamo ad uscire con prosciutti del 2006”. Un caso unico per questo tipo di prodotti che, a differenza del vino, nella stragrande maggioranza non beneficia dell’invecchiamento.

Altra novità Joselito – che ha letteralmente stregato Eneko – è l’essenza di grasso, un concentrato il cui processo produttivo è sotto brevetto. Sarà commercializzata l’anno prossimo ed è destinata a rivoluzionare l’utilizzo di grassi, perché mantiene inalterate le proprietà anche ad alte temperature.

Il grasso made in Joselito in terra basca ha trovato una destinazione del tutto insolita: Eneko, dopo averlo portato a bassa temperatura, lo ha affettato a lamelle sottili e l’ha utilizzato per avvolgere una sorta di uramaki. Magari in Italia avvolgerà ravioli e tortelli…