Sostenibilità e biodiversità. Ci vuole coraggio a farne il titolo di un congresso. Non tanto perché non siano i temi al centro del nostro futuro, ma per l’uso ormai disinvolto che si fa di questi due termini ovunque: dalle pubblicità di ogni genere di prodotto e attività ai menù dei ristoranti. Un’overdose di visibilità che ne svuota i contenuti.
Temi altissimi che ogni giorno vengono banalizzati, svuotati, resi fallaci e persino bugiardi, come nelle furbe operazioni di greenwashing messe in atto in giro per il mondo. E allora che si fa? Non ne parliamo per paura di essere banali?
È quello che si deve essere chiesto Gökmen Sözen, iperattivo protagonista della comunicazione gastronomica turca, quando doveva decidere titolo e temi della VII edizione di Gastromasa, la conferenza internazionale sulla gastronomia che organizza nella sua Istanbul ogni autunno. Ma la risposta è stata: dalle Ande al Giappone ci sono aziende, cuochi, scienziati e comunicatori che questo impegno lo prendono sul serio e riempiono di fatti ciò che per tanti è solo un generico appello. Sözen, che passa il 90% del suo tempo al telefono mentre viaggia da un capo all’altro del globo a incontrare queste persone, ha selezionato una cinquantina di testimonial e li ha riuniti sul palco del Haliç Congress Center perché raccontassero i loro progetti.
Non tutti efficaci al 100% forse, alcuni ancora in fase embrionale, ma in certi casi esempi tangibili di una radicale inversione di tendenza, iniziative a volte visionarie e avveniristiche, pratiche virtuose. Molti guardano con ironia ai cuochi che si mettono in gioco su questi temi: ma è ironia mal riposta perché spesso l’azione di un cuoco si riverbera ben oltre i suoi fornelli.
Come definire altrimenti l’opera di Leonor Espinoza, patron del pluripremiato ristorante Leo a Bogotà, che attraverso il suo lavoro certosino di censimento delle produzioni nelle aree interne del paese è riuscita a ridare orgoglio e prospettive alle comunità locali? O l’impegno di Mitsuharu Tsumura che ai tavoli di Maido a Lima sposa la memoria gastronomica giapponese con la ricchezza variopinta degli ingredienti peruviani e promuove a 360 gradi i programmi di difesa delle foreste amazzoniche.
“La foresta amazzonica – ha ricordato sul palco del congresso – è un bene dell’umanità, garantisce il 25% della biodiversità e il 10% della biomassa del mondo intero e tutti devono farsi carico della sua difesa. Innanzi tutto consentendo alle comunità di sostenersi. Attraverso l’utilizzo dei loro prodotti agricoli ma anche allargando il campo d’azione, come si sta facendo con il progetto del Bosco di carta che punta sul riciclo per creare forme di artigianato”. E il cuoco ha dato in omaggio gli orecchini realizzati con carta riciclata e i ventagli eseguiti con le cortecce di platano.
La via più diretta all’azione sostenibile per un cuoco passa dagli ingredienti che utilizza. Norbert Niederkofler tristellato con il ristorante St Hubertus a San Cassiano ha ripercorso i passi che hanno portato alla creazione di Cook the Mountain, la sua filosofia intransigente in cucina che impone l’esclusivo utilizzo di materie prime locali. E quindi niente olio e niente agrumi, solo per fare due esempi, ma olii essenziali da erbe e radici e uso creativo dei funghi (“ne esistono 2mila tipi diversi e se ne utilizzano al massimo una cinquantina”).
Manoella Buffara ha descritto come è riuscita a diffondere alveari negli orti e nelle scuole di Curitiba ricordando che delle 400 specie diverse di api al mondo oltre 250 risiedono in Brasile.
Rasmus Munk dell’Alchemist di Copenhagen ha affascinato con il racconto del progetto visionario ed estremo che sta alle spalle di quello che è il ristorante più caro d’Europa (“ma solo così possiamo garantire stipendi adeguati e coperture pensionistiche ai nostri dipendenti senza sfruttare stuoli di stagisti”, la sostenibilità è anche, se non prima di tutto, sociale ndr). Messaggi forti veicolati in maniera spericolata, come le gabbie che rinchiudono i polli a ricordarci che oltre il 70% degli animali di cui ci nutriamo vivono in condizioni miserevoli e indegne: “molti clienti respingono il piatto” ammette Rasmus e devo dire che li capisco, anch’io non so come reagirei di fronte a due zampe fredde di pollo su cui sono adagiate prelibatezze….
Oppure il cioccolato che arriva in forma di piccola bara in quanto “guilty pleasure” a rammentarci quanto sia poco sostenibile l’industria mondiale che produce barrette. Ma l’interesse del lavoro di Munk non risiede tanto nelle sue provocazioni gastronomiche quanto nelle collaborazioni con scienziati ed agronomi. Ad esempio il progetto di allevamento delle farfalle, di cui si è interessato anche l’Onu, come potenziale nuova fonte di proteine (le farfalle ne contengono quattro volte più del manzo). O i programmi per l’alimentazione dei pazienti degli ospedali e qui anche in Italia, con Niko Romito e Heinz Beck, si sta facendo molto.
E infine, tra i molti interventi di grande interesse portati a Gastromasa, l’invito del cuoco americano Dan Barber: “passiamo dal Farm to table al Seed to table”. Lui da 12 anni ci sta lavorando con soddisfazione. Ha creato insieme ad agronomi e selezionatori di semi una zucca violina più gustosa e nutriente oltre a diverse farine speciali. Un modo di creare cibi migliori, profittevoli per i coltivatori e liberi dalla dittatura dei semi. “Non dimentichiamo – ha sottolineato – che oggi quattro società controllano il 65% dei semi utilizzati in tutto il mondo e non solo aziende agricole, ma chimiche”.
La conferenza, seguita da 14mila appassionati di gastronomia, ha battuto un nuovo record di presenze, con 40 chef e pasticceri di fama mondiale e 7 sommelier e mixologist per la nuova sezione dedicata al mondo dei drink.
“Vogliamo un buon futuro – ha detto Sözen-. Perché prendiamo in prestito dal futuro e distruggiamo il futuro. Ecco perché quest’anno non c’erano solo chef e ristoranti, abbiamo invitato anche i marchi a far parte di questo movimento”. Perché solo condividendo l’obiettivo c’è speranza di fare passi avanti.