Due lauree. E di quelle che pesano. Ingegneria meccanica e matematica. Una prima esperienza in mezzo ai motori, alla Ducati. Ma poi la scoperta decisiva. Meglio sporcarsi le mani di burro piuttosto che col grasso di cilindri e carburatori.
Guido Paternollo è un cuoco anomalo. Poco più che trentenne, aria perbene, pacato, probabilmente neanche un tatuaggio e di sicuro nessun piercing. Non rientra nella categoria “belli e dannati” che tanto ha dato al mondo della ristorazione. Al contrario, incarna un approccio alla cucina lucido, rigoroso, responsabile. Non che i suoi piatti al Pellico3, il ristorante gastronomico del Park Hyatt a Milano, siano seriosi: in realtà sono tutti molto godibili se non addirittura “golosi”. Ma trasmettono un’idea di compiutezza, ricerca di perfezione, affidabilità. Insomma, a tavola del Pellico3 ci si diverte senza bisogno (per fortuna, direbbero molti) di mettere in scena lo scherzo alimentare, la formula provocatoria, il gioco fine a se stesso.
Qualità, tecnica ineccepibile, rispetto delle stagioni: su queste basi Paternollo costruisce un’offerta gastronomica ricca e colta. Una cucina “adulta”, nonostante la sua giovane età (ok, solo in Italia si è giovani fino a quarant’anni suonati).
Ha avuto quindi grande fiuto Simone Giorgi, managing director dell’albergo, quando lo ha scelto dopo una lunga selezione per sostituire Andrea Aprea che aveva portato due stelle al ristorante che allora si chiamava Vun.
Di certo il curriculum di Paternollo era convincente. Dopo aver capito che la strada da seguire è quella della cucina, la prima esperienza avviene con Enrico Bartolini che stava cercando personale per l’apertura del Ristorante Mudec (oggi tre stelle Michelin). L’ingegnere mancato entra come stagista ai secondi piatti, per poi restare nelle cucine dello chef per circa tre anni. Poi il salto in Francia. Nel 2017 inizia a lavorare da Marc Veyrat alla Maisoin des Bois in Alta Savoia e poco dopo riceve la chiamata da Yannick Alléno al Pavillon Lodoyen a Parigi, dove ricomincia da Commis. Un piccolo passo indietro che in realtà si dimostrerà importante per la sua formazione. E infine il Plaza Athénée con Ducasse, dove sviluppa l’interesse per il mondo vegetale.
Nel 2022 il ritorno nella città d’origine e l’impegno al Pellico3. Dove applica una cucina “artigiana” nel senso più alto del termine, al servizio degli ingredienti, “sapori netti e riconoscibili” dice lui, con cui l’ospite senta immediata familiarità.
E i suoi piatti del cuore quali sono? L’insalata di pomodori assaggiata da Nerua a Bilbao, il risotto alle rape rosse e patate con scaloppa di fois gras di Enrico Bartolini e l’astice in varie versioni di Alain Ducasse.