Altro che Italian Sounding. Per la liquoristica italiana – un patrimonio storico-culturale integrato al territorio, che esprime autenticità e tradizione – il rischio legato agli effetti dell’imposizione dei nuovi dazi voluti dal presidente Trump è molto più dirompente. Perché se compri Parmesan puoi intuire che stai acquistando un fake, mentre in futuro i consumatori americani troveranno sugli scaffali amari e limoncelli prodotti in loco e più convenienti e li metteranno nel carrello convinti di portare a casa made in Italy. Una concorrenza sleale anche se formalmente ineccepibile.
“Le nostre denominazioni – spiega Micaela Pallini, presidente Gruppo Spiriti di Federvini – non sono protette (a differenza del cognac, ndr) e ci troveremo nella situazione assurda di dover affrontare in America non solo la concorrenza di liquori prodotti in loco ma anche quella di amari, sambuche e limoncelli prodotti in Francia o Olanda e non soggetti ai nuovi dazi del 25%”.
Per il settore, che rappresenta un centinaio di aziende in larga parte medio-piccole e tra i massimi contribuenti alla fiscalità del nostro Paese con oltre 630 milioni di euro versati all’erario solo nel 2018, il caro dazi è un danno enorme.
“Soprattutto in un momento che sanciva la rinascita dei nostri prodotti su quel mercato” commenta Pallini. Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di destinazione dopo la Germania con una crescita negli ultimi 5 anni di quasi il 40% a valore. Solo dal 2017 al 2018 abbiamo assistito a un incremento del 13%, con una quota di mercato di oltre il 16% dietro a Irlanda e Francia.
Il dazio del 25% andrà ad interessare un valore di quasi 163 milioni di dollari, con una incidenza per singola bottiglia, secondo le prime stime, pari a circa 2-2,5 dollari che potrebbero tranquillamente raddoppiare considerando i vari passaggi da importatore a distributore e venditore.
“Grazie alla rinascita della mixology partita dalla costa Ovest, tante piccole e storiche aziende italiane si stavano consolidando sul mercato americano – continua Pallini – oggi rischiano di essere messe in ginocchio, sia che decidano di ‘assorbire’ l’incremento del dazio o che subiscano l’incremento di prezzo allo scaffale e dunque la concorrenza dei prodotti americani”.
Negli ultimi anni le nuove tendenze della mixology, con l’attenzione sempre più spinta dei consumatori ai valori della naturalità degli ingredienti, aveva dato vigore alle nostre esportazioni (“nel centenario del Negroni come si può pensare a un cocktail senza prodotti italiani?”). Decisivo anche il ruolo delle iniziative realizzate dalle aziende riunite in The Spirit of Italy in collaborazione con Ice: “uno strumento importante – dice Pallini – per comunicare l’autenticità del prodotto italiano, la cura nella ricerca degli ingredienti, la ricchezza della nostra tradizione liquoristica”.
Il mercato americano è quello di riferimento soprattutto in un momento di grande incertezza del Regno Unito per l’incognita Brexit e di rallentamento della Germania. La Cina, d’altro canto, è ancora un mercato ben lontano dall’essere maturo.
“C’è da sperare – conclude Pallini – in un sostegno da parte delle istituzioni italiane per un settore importante che finora non ha goduto di alcuna protezione”.