Nel 2009 era successo al Fat Duck, il tristellato ristorante di Heston Blumenthal, questa volta é toccato a René Redzepi, il titolare del più celebrato ristorante del momento, quel Noma di Copenhagen che per primo ha sdoganato con orgoglio la cucina nordica “in purezza”. Muschi e licheni nel piatto, rigore e intelligenza nel pensiero che guida i fornelli. Negli ultimi tre anni premiato come numero uno dai 50 Best, la classifica ideata da una rivista inglese che ormai fa tendenza in tutto il mondo.
Eppure una decina di giorni fa, nel giro di una settimana, ben 63 clienti sono usciti dal Noma intossicati (vomito e diarrea i principali effetti). Colpa di un commis della brigata di cucina che ha continuato a trafficare tra i fornelli nonostante fosse malato. Dopo, colpevolmente, il ristorante non ha provveduto a disinfettare a dovere i locali. Segue ispezione da parte del Dipartimento dell’Alimentazione danese, il Fødevarestyrelsen, e severo rapporto dei funzionari. Riscontrato un norovirus, alias virus di Norwalk, che normalmente si contrae attraverso acqua e cibo contaminato.
Fa riflettere questa congiuntura di brutte notizie relative a quel che mangiamo. Dopo la carne equina rintracciata nelle hamburger di grandi catene, il caso é esploso con le lasagne alla bolognese Findus e i ragú della Star. Molti hanno detto in proposito che l’allarme era eccessivo, soprattutto in un paese come l’Italia dove, come ricordava ieri sera Carlo Petrini da Lerner, le mamme quando i bambini erano un po’ troppo deboli rimediavamo con una bella fetta di carne di cavallo. Il problema é “che” carne di cavallo é stata utilizzata, con quali livelli di sicurezza. E il fatto che le aziende abbiano mentito ai consumatori.
Ma il tema principale é che i casi riguardano grandi marchi. Quelli sui quali i consumatori ripongono una fiducia smisurata. Per tornare a Noma, ciò che scandalizza é che siano stati intossicati i clienti di uno dei ristoranti più famosi al mondo. Quando casi simili accadono da un cinese qualsiasi a basso prezzo nessuno alza un ciglio, dandolo quasi come un incidente di percorso prevedibile.
Il piccolo scandalo danese di certo non intaccherà la fama dello chef più amato da giornalisti e gourmet internazionali (che ora scalda i cuori gastronomici quasi quanto Ferran Adriá nei decenni passati) ma resta comunque un brutto incidente. Che non dovrebbe accadere in nessuna cucina, ma a maggior ragione in una di quel livello.