Alessandria merita una deviazione. A tavola

Meno bella di Casale, meno carismatica di Alba, adagiata in una piana che solo intravede le colline del Monferrato patrimonio dell’Unesco, Alessandria ha scarso appeal. Personalmente rappresenta vaghi ricordi della primissima infanzia (sono nata lì e ci sono rimasta pochi anni, prima di trasmigrare felicemente nella Roma fascinosa della Dolce Vita). A chi mi chiede se vale una visita di norma mi limito a consigliare (se proprio si vuole) un passaggio al museo Borsalino, il museo del cappello, che prende il nome dal marchio alessandrino conosciuto in tutto il mondo e ormai da tempo migrato altrove. È situato nella storica Sala Campioni del Palazzo Borsalino e ospita appunto i campioni di tutti i copricapo prodotti dallo stabilimento a partire dal 1857. Circa 2000 cappelli delle più diverse fogge, significativi testimoni di una altissima manifattura.

Comunque, cappelli a parte, oggi (anzi a dire il vero da un annetto) c’è un altro buon motivo per una sosta in città: la tavola dei Due buoi, l’albergo del centro cittadino che risale al Settecento, dove ai fornelli officia Andrea Ribaldone, già alla Fermata di Spinetta Marengo. Ribaldone è chef poco mediatico, possiede una meritata stella Michelin, ha gestito con successo il ristorante di Identità Golose all’Expo e fa una cucina intrigante e mai banale con meditate influenze nipponiche (frutto di un lungo soggiorno lavorativo nel paese del Sol Levante).

L'albergo Allí due buoi rossi risale al 1741.

L’albergo Allí due buoi rossi risale al 1741.

Il suo menù degustazione – con un incredibile rapporto qualità-prezzo – è una continua sorpresa, in un percorso di sapori netti e precisi ma sempre accoglienti. Per me difficilmente dimenticabili gli agnolotti freddi adagiati sul ghiaccio e rinvigoriti da un dashi di manzo e il filetto di lepre. Merita di sicuro una deviazione, sulla strada delle dolci colline monferrine (il tutto diventa sublime se accompagnato da un Timorasso d’annata, il bianco dei colli tortonesi riportato agli allori da quella testa matta di Walter Massa).