Four Seasons Firenze, con Lavezzini la cucina toscana incontra lo spirito carioca

Fino a pochi giorni fa, in questo autunno anomalo che non vuole abbandonare l’estate, si mangiava ancora in giardino. Il più bello di Firenze, il Giardino Della Gherardesca, quattro ettari e mezzo di parco botanico sulla sponda destra del fiume Arno. Un angolo di verde paradiso che si stende tra lo storico palazzo della Gherardesca e La Villa. Due edifici rinascimentali, che in passato sono stati dimora del primo ministro di Lorenzo de’ Medici e successivamente residenza papale, convento, sede della prima compagnia ferroviaria italiana, per cinque secoli domicilio di nobiltà fiorentina e palazzo di un vicerè egiziano (che lo vendette quando gli fu proibito di insediarci il suo harem). Oggi residenza temporanea di turisti cosmopoliti in visita nella capitale del Rinascimento. Siamo al Four Seasons.

Su accoglienza ed ospitalità c’è poco da dire, siamo al vertice dell’hotellerie di lusso. I palazzi hanno subito sette anni di meticoloso restauro prima di aprire le porte ai clienti e si accingono ad una nuova rémise en forme nei prossimi due anni.

La novità più rilevante degli ultimi mesi riguarda la cucina, che ha accolto un “cervello di ritorno”. Al ristorante Il Palagio, dove ha regnato per anni Vito Mollica (oggi alla guida di un proprio locale sempre a Firenze) dopo anni di esperienze all’estero è arrivato Paolo Lavezzini. Cuoco di talento e animo terso. Avrebbe potuto diventare un campione di calcio Paolo, se avesse seguito i consigli del padre allenatore, ma a 16 anni, dopo una breve carriera negli stadi, si è buttato sui fornelli. Entra nella brigata del mitico Angelo Paracucchi, al ristorante Carpaccio del Royal Monceau a Parigi e poi si sposta in vari stellati europei, dal Plaza Athénée di Alain Ducasse all’Enoteca Pinchiorri dove resta sette anni.

Nel 2012 attraversa l’oceano e diventa executive chef dell’Hotel Fasano a Rio de Janeiro, per poi far parte del team di apertura del Four Seasons Hotel São Paulo, dove ha guidato per due anni il ristorante “Neto”. Lavezzini si definisce “cuore italiano e anima brasiliana”. Nella sua cucina si intuiscono ovvie influenze delle esperienze di alta ristorazione ma trapelano le origini emiliane e l’impronta del Brasile, dove si è avvicinato a ingredienti e sapori locali, integrando le tradizioni e specialità brasiliane a quelle italiane.

 

Dalla sua esperienza brasiliana afferma di portarsi dietro soprattutto l’attenzione a una cucina sostenibile, nel rispetto degli ingredienti. “Rispetto degli ingredienti e ricerca dei migliori piccoli produttori – spiega -. Al Four Seasons di São Paulo siamo stati i primi a sperimentare con piatti italiani realizzati con ingredienti prodotti in Brasile: quello che non trovavamo, come affettati o formaggi, lo producevamo in casa”. E a Firenze? “Partirò dalle mie origini Italiane nel rispetto della tradizione culinaria toscana, aggiungendo in alcuni dei piatti anche ingredienti brasiliani come spezie o peperoncini”.

Al Palagio lo Chef e la sua brigata propongono un menu à la carte “a partire da ingredienti genuini e tradizionali, cucinati con semplicità, e presentati in modo contemporaneo. È tutto racchiuso in uno o due ingredienti. Si tratta poi di trovare la combinazione unica che unisce perfettamente i loro sapori e consistenze”.

Due menù degustazione – L’Incontro e Della Gherardesca – abbinati ad una carta vini con oltre 1000 etichette. Il secondo menù, con più portate, riesce a rileggere in maniera leggiadra la capasanta – un must della cucina d’autore – e propone un Risotto al pomodoro e pecorino che maschera la propria complessità dietro a una sorridente accessibilità.

Molto interessanti i Fusilloni all’albume dove le cicale di mare incontrano pompelmo e caviale di Giaveri. Il Tortino morbido è agli agrumi e salvia con gelato alle arachidi: chiudi gli occhi e pensi di essere a Ipanema.

Giustamente, anche con l’altro menù, lo chef non dimentica di essere all’interno di un grande albergo, con una clientela che non è necessariamente composta da grandi gourmet; di sicuro ha però la curiosità di scoprire il luogo in cui è anche attraverso la cucina. I piatti di Lavezzini sono ricercati, ma mai supponenti. E così come il suo sorriso gentile e accogliente, la sua cucina mette chiunque a proprio agio.

Nel cosiddetto fine dining c’è posto per tutto, dalla sperimentazione più estrema e, al limite, respingente al gusto più decifrabile e rotondo.

Purché vinca l’ingrediente e non la tecnica. Al Palagio il rischio non si corre.