Perché non si può fare a meno dei 50 Best

Piaccia o no, i ristoranti non possono snobbare i 50 Best, la classifica sostenuta da San Pellegrino, che indica le cinquanta migliori tavole del pianeta, grazie ai voti di circa 900 persone sparse nei cinque continenti, tra chef, sommelier, giornalisti e altri addetti ai lavori.

Molti discutono la validità della classifica perché non ne condividono i criteri.

Ma la sua efficacia è indubbia. E ne ho avuto tre autorevoli conferme nel giro di pochi giorni.

Un’amica che sta per avviare un interessante progetto legato all’alta gastronomia e in cerca di uno chef adatto mi ha detto (con un tono che non prevedeva repliche), “naturalmente deve essere entro i Fifty…”.

Un grande chef, altrettanto bravo in cucina che nella visione imprenditoriale, mi ha confidato che quasi la metà dei suoi clienti arrivano perché spinti dalla classifica londinese. Nonostante il suo locale sia ben premiato dalla Michelin.

Infine un collega straniero che scrive di cibo mi ha confermato che quando gli chiedono una recensione di un ristorante la richiesta è quasi sempre accompagnata da un “obviously inside the 50 Best!”.

E dunque bisogna esserci. Quello che mi continuo a chiedere – visto che mi sembra fantascientifico che nei primi 50 ci siano 7 spagnoli e solo 3 italiani, senza stare a discutere dello scettro a Noma – è perché l’Italia non riesca a fare lobby per far votare i propri cuochi. Non ci sarebbe nulla di sconveniente. Lo fanno gli altri. E bene. Ci sono paesi molto attrezzati in questa attività di promozione e si creano saldature, come tra Spagna e Sud America o – alcuni dicono – tra Francia e Paesi Nordici.

Ci converrebbe imparare da loro. Anche se solo per ripristinare un po’ di giustizia gastronomica!

Fernanda Roggero

Il Sole 24 Ore – Food & Wine Editor

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