Le nuove parole d’ordine (giuste) del vino siciliano: identità e sostenibilità

Il futuro del vino si chiama identità. Ne ho avuto l’ennesima riprova oggi a Vulcano, l’incantevole isola delle Eolie in cui si svolge la decima edizione di Sicilia en Primeur, 300 vini da assaggiare di 35 produttori siciliani d’eccellenza. Il vino siciliano, superato ogni complesso di inferiorità verso territori più anticamente blasonati, procede spedito lungo una strada che pian piano lo sta portando anche ad emanciparsi dalla sudditanza verso i grandi vitigni internazionali, passepartout e primo grimaldello d’ingresso verso i mercati esteri.

 

In questi giorni più di un produttore raccontava di nuovi impianti (o addirittura espianti per rinnovare il vigneto) destinati a vitigni autoctoni. La regione è probabilmente una di quelle che in Italia sta investendo di più in ricerca e selezione clonale, alla ricerca del biotipo giusto per le diverse tipologie di territorio (e da questo punto di vista la Sicilia è davvero un continente, dal mare alla collina alle terre vulcaniche).

 

Accanto a questo aumenta l’impegno verso la sostenibilità delle produzioni. Mi ha impressionato una”torta” in cui spicca il 28% di ettari a biologico della Sicilia, di gran lunga in testa (la Puglia è al 18, la Toscana al 10, il Piemonte tristemente all’interno dello spicchio “altri”). Antonio Rallo, proprietario con la famiglia dello storico marchio Donnafugata e presidente di Assovini, conferma il costante aumento di imprese che passano, se non decisamente al biologico, comunque alla “lotta integrata”, mettendo al bando concimi chimici e riducendo al massimo i fitofarmaci, razionalizzando l’uso delle acque e introducendo pratice di recupero dei residui. Gruppi di aziende si sono riunite in progetti specifici, come SOStain, avviata da Tasca D’Almerita e Planeta, che mira a una revisione “olistica” in senso sostenibile delle pratiche aziendali, con indicatori che spaziano dal suolo al sociale.

Questa capacità, abbastanza inedita, di fare squadra sarà messa alla prova nei prossimi mesi, quando sarà pienamente operativa la Doc Sicilia, fortemente voluta dai produttori. Consentirà al consorzio di utilizzare i fondi Ue per promuovere i vini siciliani sotto un ombrello più vasto e più riconoscibile all’estero. E quindi di spingere tutte quelle varietà – in testa il Grillo, riscoperto dopo anni in cui veniva considerato solo la materia prima del Marsala – che esprimono appieno l’identità dell’isola.