Sicilia, dai giardini per il futuro al cuore ambrato del latifondo

È sempre il momento giusto per andare in Sicilia. Ed è sempre il momento giusto per arrampicarsi sui tornanti sovrastati d’ “a muntagna”. Io sono partita da Riposto, avviluppandomi tra i fogliami rigogliosi di Radicepura, il Garden Festival biennale organizzato dalla Fondazione omonima, giunto alla terza edizione. Inaugurato a fine giugno, il festival che si chiuderà il 19 dicembre quest’anno indagava i Giardini per il futuro. Spazi di natura e indicatori di uno sviluppo sostenibile, in chiave economica, ambientale e sociale.  

Radicepura Garden Festival

Radicepura Garden Festival

Paradigma fondamentale che anima anche i Millennium Development Goals di Agenda 2030, questo secondo la Fondazione creata dalla famiglia Faro è l’orizzonte “necessario per progettare le città e gli spazi antropizzati senza violare l’essenza dei luoghi, promuovendo una cultura dell’abitare che sappia coniugare le necessità ambientali con il desiderio dell’uomo di vivere a contatto con la natura in un rapporto di reciprocità e rispetto”. Il Festival ospita giardini-progetto in cui si delineano spunti e indirizzi di sviluppo, a volte anche molto immaginifici, riflettendo su quali saranno le funzioni del giardino nel prossimo futuro; come le piante potranno riparare guasti ambientali ed essere risorsa aggiuntiva di cibo; quale ruolo sarà assegnato loro e come saranno progettati i giardini, stimolando il dibattito su design del paesaggio e sostenibilità.

Un percorso affascinante intriso di visionarietà, dove la botanica affianca il passo all’etica. La famiglia Faro – grandi vivaisti presenti con le proprie piante ai quattro angoli del pianeta – ha saputo superare il confortevole approccio paesaggistico per aprire un confronto serio sulle sfide che abbiamo di fronte. Che poi questo abbia un risvolto esteticamente molto gradevole è un vantaggio per i visitatori.

Due oasi di natura sull’Etna. Siamo alle pendici del vulcano, ma l’impressione è di essere immersi in una giungla tropicale. I vivaisti Faro hanno regalato al resort di famiglia – Donna Carmela – tutta la ricchezza floreale e naturalistica della loro decennale esperienza.

I lodges, seclusi e protetti tra le fronde, sono eremo e riparo per un soggiorno di totale relax ma possono trasformarsi in piacevole risorsa per lo smart working. La cucina del giovane Piergiorgio Alecci, precisa e gustosa, ha più di un’aspirazione. I vini “della casa”, la cantina Pietradolce, sono tra le migliori espressioni enologiche del mondo Etna.

Non troppo lontano da Riposto, salendo verso Zafferana, ci si inerpica per raggiungere Monaci delle Terre Nere, relais&chateau di grande fascino con vista mozzafiato. Si definisce un Etna Country Boutique Hotel ma l’accento va posto sull’estensione. Oltre alla casa padronale di tradizione etnea, infatti, le dimore si dispongono sui declivi anticamente terrazzati dai monaci.

La storia vuole che l’Arcivescovo di Catania, che aveva fatto di Pisano la propria residenza, donasse i terreni ai monaci Agostiniani scalzi da Valverde che, dal ‘600, iniziarono a plasmare le colline scoscese attraverso i terrazzamenti ancora oggi coltivati dal patron Guido Coffa a frutta, viti  e ulivi. In tutto 25 ettari. Un luogo senza tempo che cattura e invita al totale abbandono. Imperdibili gli aperitivi al tramonto e i breakfast con le uova bio della casa.

Perdersi nel cuore della Sicilia. E poi c’è Susafa. Arrivarci non è ovvio (io mi sono persa un paio di volte). Una volta trovata, a Susafa non resta che perdersi. A 360 gradi solo campi di grano. Un giallo che ti acceca e al tramonto ti avvolge d’ambra. La sensazione è davvero quella di essere fuori da tutto.

Camere di moderno comfort, cucina “accogliente” e senza fronzoli (speriamo rimanga sempre così), un orto di erbe officinali non scontate, una terrazza da cui l’occhio viaggia senza trovare ostacoli, un picnic – o un aperitivo – tra le spighe per assaporare il silenzio. Ma più di tutto l’allegra impetuosità di Bruno, weimaraner di rara bellezza, e la passione di Manfredi che racconta dei 600 ettari coltivati, dello sforzo verso una sostenibilità sempre più incondizionata, e di come fare a casa un pane come Dio comanda.