Norbert Niederkofler: largo ai giovani, la mia cucina diventa “atelier”

Alle pareti ci sono ancora i segni dei punti in cui Joseph Zoderer appendeva i fogli con i suoi manoscritti. Resteranno. Un reticolo di memoria e suggestioni mitteleuropee di cui la casa è ancora avvolta. Espressioni di una cultura di incontro, condivisione e contaminazione che risponde perfettamente ai bisogni e agli obiettivi dell’avventura cui questa villa dei primi Novecento è chiamata ora a fare da palcoscenico. Sarà ancora una volta un “atelier”. Non di un celebre scrittore altoatesino, nè dei responsabili di una delle più antiche e rinomate aziende produttrici di tessuto loden, ma di un gruppo di giovani pronti a indagare il futuro della cucina. È la terza vita di Villa Moessmer: buen retiro di Zoderer per mecenatismo dell’impresa, poi domicilio degli alti funzionari e oggi nuova dimora della cucina di Norbert Niederkofler, il tristellato cuoco altoatesino che ha appena chiuso l’esperienza al St. Hubertus a San Cassiano a causa della profonda ristrutturazione cui è sottoposto l’albergo Rosa Alpina dove era ospitato.

La villa, immersa in sette ettari di parco secolare a pochi passi dal centro di Brunico, manterrà dunque una vocazione alla creazione. Solo cambieranno gli strumenti. Qui si sperimenterà la cucina di domani. Che poi, a ben vedere, ha molto a che fare con quella di ieri, soprattutto nei suoi codici fondativi.

Gli impegnativi lavori di ristrutturazione della villa sono ormai quasi ultimati. Il nuovo ristorante di Niederkofler, che si chiamerà appunto “Atelier Moessmer Norbert Niederkofler”, aprirà tra un mese, il 12 luglio. E, afferma il cuoco, “sarà una bella sfida”.

Gli obiettivi sono ambiziosi. “Vorrei entrare nel futuro dei giovani – spiega lo chef – creare un think tank. Ho totale fiducia nel team, che avrà mano libera, Mauro Siego, l’executive chef, lavora con me da sette anni, ha fatto propria la filosofia di Cook the Mountain, insieme agli altri ragazzi maneggia le tecniche e sa usare i prodotti in maniera profonda”. Così come a San Cassiano, infatti, si rispetteranno rigorosamente i criteri della territorialità, lavorando a stretto i contatto con agricoltori e allevatori della valle. “Solo che qui sarà più facile, perché avremo quattro stagioni e non due come in alta montagna, e potremo lavorare più intensamente avendo a disposizione molti più prodotti”.

Il mentoring è una qualità che – a differenza di molti colleghi – Niederkofler ha sempre avuto. Sono tanti i ragazzi passati nelle sue cucine e poi avviati a carriere di successo. In una delle edizioni di Care’s on tour, la manifestazione sui temi della difesa della natura che organizza con Paolo Ferretti, quest’anno ne ha riunito un piccolo drappello, più di una trentina di ex-allievi, giunti a Brunico per cucinare insieme.  “Ho sempre dato molto spazio ai ragazzi – dice – ho sempre condiviso tutto”. Non una pratica usuale, in un mondo fatto di ego sin troppo pronunciati.

Al nuovo ristorante, se possibile, la pratica verrà ulteriormente sostenuta. “Non a caso abbiamo deciso di chiamarlo atelier – commenta il cuoco – nei giovani vedo ancora grande entusiasmo, ma dove ci sono progetti concreti. Non è vero che nessuno vuole più impegnarsi in questo lavoro. È che devi metterli nelle condizioni giuste per farlo”. Nieferkofler darà dei criteri, delle linee guida, ma poi starà a loro. “Avranno un foglio bianco, si potranno sbizzarrire. E dovranno far quadrare i conti”. 

I giovano sanno che è necessaria una svolta, ribadisce lo chef. E la svolta non può che essere un contatto più stretto e diretto con i fornitori locali, la capacità di sviluppare tecniche capaci di esaltare le materie prime che hai in quel momento, amalgamare e rileggere le suggestioni elaborate nelle incursioni in cucine e stili anche molto lontani. “Anche noi usiamo la salsa soia – racconta Niederkofler – ma la realizziamo con lenticchie di montagna, mentre il miso viene fatto con i ceci”.

Consapevoli e flessibili. Queste le due necessarie parole d’ordine. All’Atelier ci sarà un unico menù degustazione, ma poiché il ristorante dipenderà dalle forniture dei contadini locali, qualche piatto potrebbe cambiare anche ogni giorno. Verrà privilegiata la cucina a fuoco vivo, alla brace, “del resto da almeno dieci anni non facciamo più cotture sottovuoto, lo avevamo deciso per limitare al massimo la plastica”.

Nella villa, dove hanno lavorato solo artigiani locali con materie prime del luogo e sono stati utilizzati i famosi tessuti loden del lanificio Moessmer, il ristorante avrà diversi spazi per gli ospiti dei 35-40 coperti. All’ingresso un’ampia sala aperitivi, da cui si accede alla biblioteca in cui sono custoditi libri storici di Moessmer e della collezione privata di Niederkofler e un grande tavolo per cene private, la sala da pranzo e il tavolo speciale sulla “Veranda”. Infine la serra aggiunta dagli architetti architetti Walter Angonese e Klaus Hellweger, che ospita anche l’Open Kitchen con spazio per 12 ospiti, che verranno serviti direttamente dai cuochi. Al piano inferiore la ricca cantina con le selezioni del restaurant manager e capo sommelier Lukas Gerges.

Cicli brevi, stagionalità rigorosa, sperimentazione, lotta allo spreco, coerenza: così Niederkofler aveva rivoluzionato il St. Hubertus, dimostrando che la cucina poteva avere uno sguardo etico. Tanto è vero che è proprio con tale approccio senza compromessi che il ristorante ha ottenuto le tre stelle.

All’Atelier Moessmer a tutto questo si aggiungerà un ulteriore slancio di formazione. Del resto lo chef è già impegnato nel corso di laurea in “Gastronomia ed enologia nelle regioni di montagna” presso la Libera Università di Bolzano, dove una ventina di alunni viene iniziata alla “cultura della montagna” in tutte le sue sfaccettature.

Come sarà l’alta cucina del futuro? E, prima di tutto, ci sarà ancora? Niederkofler non ha dubbi. “Certo che ci sarà, con tanti altri cuochi condividiamo la strada. Noi siamo sempre più radicati su quel che ci dà il territorio, questa è la via. E i giovani già vanno nella direzione della consapevolezza e della sostenibilità, parola purtroppo oggi un po’ abusata. Ed essere sostenibili, in ultima istanza, significa avere rispetto.